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05/05/2013 07.30
27° 42,667'N 85° 18,750'E
Lasciamo Pokhara e la fantastica catena innevata dell'Annapurna per rientrare a Kathmandu. È tempo di bilanci. Dopo questa breve ma intensa avventura in Nepal era nostra intenzione continuare il nostro grande viaggio in giro per il mondo andando verso Est in Tibet, ma purtroppo anche in un meraviglioso paese come il Nepal popolato di gente sempre cordiale esistono i burocrati fanatici. Uno di questi, non solo non ci ha concesso la proroga di un mese che avrebbe consentito alle nostre moto di rimanere a Kathmandu fino alla fine di luglio, ma ha scritto "validità 10 giorni" sul nostro Carnet, obbligandoci a lasciare il Nepal.
Finisce dunque così il nostro Grande Sogno?
Forse, chissà, ma qualcosa dentro di me mi dice che il Nostro Grande Sogno è appena incominciato...
Lasciamo Pokhara e la fantastica catena innevata dell'Annapurna per rientrare a Kathmandu. È tempo di bilanci. Dopo questa breve ma intensa avventura in Nepal era nostra intenzione continuare il nostro grande viaggio in giro per il mondo andando verso Est in Tibet, ma purtroppo anche in un meraviglioso paese come il Nepal popolato di gente sempre cordiale esistono i burocrati fanatici. Uno di questi, non solo non ci ha concesso la proroga di un mese che avrebbe consentito alle nostre moto di rimanere a Kathmandu fino alla fine di luglio, ma ha scritto "validità 10 giorni" sul nostro Carnet, obbligandoci a lasciare il Nepal.
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28° 12,750'N 83° 57,485'E
curve dobbiamo percorrere per raggiungere Pokhara la cittadina alle pendici della catena Himalayana affacciata su un lago color smeraldo.
Passiamo dall'afa della dogana, al fresco lussureggiante dei monti attraverso le terrazze coltivate, i villaggi e le splendide figure femminili avvolte in sari di colore rosso e oro.
A pochi km dalla destinazione ci investe un violento acquazzone che ci inzuppa fino al midollo.
Cena romantica al lume di candela a base di uno squisito pesce di lago arrostito.
curve dobbiamo percorrere per raggiungere Pokhara la cittadina alle pendici della catena Himalayana affacciata su un lago color smeraldo.
Passiamo dall'afa della dogana, al fresco lussureggiante dei monti attraverso le terrazze coltivate, i villaggi e le splendide figure femminili avvolte in sari di colore rosso e oro.
A pochi km dalla destinazione ci investe un violento acquazzone che ci inzuppa fino al midollo.
Cena romantica al lume di candela a base di uno squisito pesce di lago arrostito.
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27° 28,667'N 83° 28,500'E
Dobbiamo ringraziare uno zelante e cavilloso doganiere nepalese per un fuori programma di 200 km nelle assolate ed assetate campagne indiane. Uno spettacolo incredibile di umanità che vive unicamente delle risorse della propria terra. Rientriamo in Nepal e ci fermiamo per la notte in un albergo con aria condizionata.
Dobbiamo ringraziare uno zelante e cavilloso doganiere nepalese per un fuori programma di 200 km nelle assolate ed assetate campagne indiane. Uno spettacolo incredibile di umanità che vive unicamente delle risorse della propria terra. Rientriamo in Nepal e ci fermiamo per la notte in un albergo con aria condizionata.
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28/04/2013 03.51
27° 39,833'N 84° 14,333'E
Lasciamo Kathmandu per dirigerci verso il confine indiano. Più si scende più la temperatura sale. Nel pomeriggio oltre al caldo insopportabile la pesante giornata ci propina anche due forature consecutive che ci rallenta l'andatura. Paesaggio e gente sempre spettacolare.
Passiamo la notte nel Parco Chitwan popolato da un centinaio di tigri.
Lasciamo Kathmandu per dirigerci verso il confine indiano. Più si scende più la temperatura sale. Nel pomeriggio oltre al caldo insopportabile la pesante giornata ci propina anche due forature consecutive che ci rallenta l'andatura. Paesaggio e gente sempre spettacolare.
Passiamo la notte nel Parco Chitwan popolato da un centinaio di tigri.
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27° 42,667'N 85° 18,750'E
Kathmandu ci accoglie con la sua gradevole temperatura calda di giorno e fresca di sera. Ritroviamo le nostre moto sepolte sotto una coltre di polvere nel giardino di Suray. Visitiamo il luogo delle cremazioni ed assistiamo al tramonto ad una sentita e coinvolgente puja.
Kathmandu ci accoglie con la sua gradevole temperatura calda di giorno e fresca di sera. Ritroviamo le nostre moto sepolte sotto una coltre di polvere nel giardino di Suray. Visitiamo il luogo delle cremazioni ed assistiamo al tramonto ad una sentita e coinvolgente puja.
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27° 42,783'N 85° 18,633'E
La nebbia è sempre fitta, ma dura poco. Il paesaggio che ci circonda invece è spettacolare: vegetazione lussureggiante, villaggi animati ed ordinati e facce sorridenti. Dopo Narayagard inizia una lenta e tortuosa salita affacciata su un fiume dalle acque color smeraldo che ci trasporta ai 1350 metri di altitudine di Kathmandu, la meta di questo nostro intenso viaggio.
La nebbia è sempre fitta, ma dura poco. Il paesaggio che ci circonda invece è spettacolare: vegetazione lussureggiante, villaggi animati ed ordinati e facce sorridenti. Dopo Narayagard inizia una lenta e tortuosa salita affacciata su un fiume dalle acque color smeraldo che ci trasporta ai 1350 metri di altitudine di Kathmandu, la meta di questo nostro intenso viaggio.
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27° 38,300'N 84° 06,950'E
Una giornata storta! Partiamo con un nebbione così fitto da non vedere la ruota davanti. Procediamo a 5 km/h. Improvvisamente ci supera una vettura guidata da uno psicopatico a tutta velocità. Lo seguiamo per qualche km finché il folle scompare nel nulla. Per fortuna la nebbia si apre. Dopo 50 km di sole sprofondiamo nel traffico di una sovraffollata città. Perdiamo tanto tempo, la stessa cosa alla dogana con il Nepal. Lasciamo il confine prima del tramonto e percorriamo 80 km al buio prima di fermarci in un alloggio spartano in un luogo dimenticato da Dio a 180 km da Kathmandu.
Una giornata storta! Partiamo con un nebbione così fitto da non vedere la ruota davanti. Procediamo a 5 km/h. Improvvisamente ci supera una vettura guidata da uno psicopatico a tutta velocità. Lo seguiamo per qualche km finché il folle scompare nel nulla. Per fortuna la nebbia si apre. Dopo 50 km di sole sprofondiamo nel traffico di una sovraffollata città. Perdiamo tanto tempo, la stessa cosa alla dogana con il Nepal. Lasciamo il confine prima del tramonto e percorriamo 80 km al buio prima di fermarci in un alloggio spartano in un luogo dimenticato da Dio a 180 km da Kathmandu.
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26° 44,233'N 83° 53,600'E
Lasciamo Varanasi per dirigerci verso il Nepal. Kushinagar che dista 270 km è il luogo ideale per una breve sosta prima di lasciare l'India.
La strada come sempre è molto vissuta: asfalto consumato da secoli e buche profonde alternate a tratti più agevoli. Lungo il tragitto incontriamo anche due elefanti. Kushinagar conosciuta come un luogo di meditazione e ricca di templi buddisti ci ha accolto con una marea di persone riversate per strada che festeggiavano il capodanno.
Lasciamo Varanasi per dirigerci verso il Nepal. Kushinagar che dista 270 km è il luogo ideale per una breve sosta prima di lasciare l'India.
La strada come sempre è molto vissuta: asfalto consumato da secoli e buche profonde alternate a tratti più agevoli. Lungo il tragitto incontriamo anche due elefanti. Kushinagar conosciuta come un luogo di meditazione e ricca di templi buddisti ci ha accolto con una marea di persone riversate per strada che festeggiavano il capodanno.
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25° 19,533'N 82° 59,750'E
La tappa più lunga del viaggio. 400 km in India sono un'eternità. La nebbia ci accompagna per un'ora, poi superato il Parco Nazionale di Panna popolato da 54 tigri, la strada sale e il sole finalmente saluta il nostro passaggio. È solo una tregua perché la discesa ci riporta nelle tenebre. Verso le undici torna la luce. Attraversiamo villaggi pittoreschi popolati di gente colorata che si scaldano al sole. La strada, buona per i primi 200 km, precipita in una pista scassatissima. Alla fine, dopo nove ore, Varanasi, la città più antica e sacra del mondo, ci inghiotte nel solito delirio di suoni e caos.
La tappa più lunga del viaggio. 400 km in India sono un'eternità. La nebbia ci accompagna per un'ora, poi superato il Parco Nazionale di Panna popolato da 54 tigri, la strada sale e il sole finalmente saluta il nostro passaggio. È solo una tregua perché la discesa ci riporta nelle tenebre. Verso le undici torna la luce. Attraversiamo villaggi pittoreschi popolati di gente colorata che si scaldano al sole. La strada, buona per i primi 200 km, precipita in una pista scassatissima. Alla fine, dopo nove ore, Varanasi, la città più antica e sacra del mondo, ci inghiotte nel solito delirio di suoni e caos.
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24° 50,333'N 79° 55,367'E
Ancora nebbia. Attraversiamo la campagna indiana punteggiata di minuscoli villaggi. Mercati affollati di gente, tanti bambini, animali di tutti i generi. Numerosi anche i falò di fortunalungo la strada per scampare al freddo intenso. Arriviamo a Khajuraho a mezzogiorno e visitiamo gli splendidi templi di pietra famosi nel mondo per la raffinatezza delle loro sculture che risalgono a 1000 anni fa.
Straordinario!!
Ancora nebbia. Attraversiamo la campagna indiana punteggiata di minuscoli villaggi. Mercati affollati di gente, tanti bambini, animali di tutti i generi. Numerosi anche i falò di fortunalungo la strada per scampare al freddo intenso. Arriviamo a Khajuraho a mezzogiorno e visitiamo gli splendidi templi di pietra famosi nel mondo per la raffinatezza delle loro sculture che risalgono a 1000 anni fa.
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26/12/2012 16.56
25° 20,833'N 78° 38,400'E
La nebbia ci accompagna lungo una bella strada da Agra fino al centro di Gwalior, che ci inghiotte tra sciami di mezzi strombazzanti, smog e tanta umanità. Poi la via peggiora e fatichiamo a superare i cento km di polverosi lavori in corso e una colonna infinita di camion militari con tanto di artiglieria pesante. Raggiungiamo Orchha giusto in tempo per una visita allo splendido forte che domina la piccola città.
La nebbia ci accompagna lungo una bella strada da Agra fino al centro di Gwalior, che ci inghiotte tra sciami di mezzi strombazzanti, smog e tanta umanità. Poi la via peggiora e fatichiamo a superare i cento km di polverosi lavori in corso e una colonna infinita di camion militari con tanto di artiglieria pesante. Raggiungiamo Orchha giusto in tempo per una visita allo splendido forte che domina la piccola città.
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24/12/2012 20.31
27° 09,533'N 78° 03,700'E
ventitre dicembre
Ricomincia da Delhi, il luogo in cui abbiamo lasciato le nostre moto, il viaggio. La prima brutta sorpresa: la batteria della mia Africa è morta! Trovo al mercato un'altra batteria più debole, ma non c'è altra soluzione per continuare il viaggio.
Partiamo avvolti dalla nebbia. Freddo fino a Mathura dove visitiamo l'ashram di Marisa, che ci offre un ottimo pranzo e tanta serenità.
Raggiungiamo Agra, attraversando il delirio della città vecchia, prima del tramonto.
Vigilia di Natale
Non avevo mai visto il Taj Mahal avvolto da una nebbia tanto fitta. Per vedere tutta la sua straordinaria bellezza illuminata da tenui raggi di sole dobbiamo aspettare le prime ore del pomeriggio.
Per il cenone disertiamo dal nostro hotel di lusso verso un ristorante indiano di buon livello e più folcloristico. Finiamo ballando musica locale con gli indiani davanti all'ingresso del nostro hotel sotto lo sguardo esterrefatto delle guardie.
Buon Natale!
ventitre dicembre
Ricomincia da Delhi, il luogo in cui abbiamo lasciato le nostre moto, il viaggio. La prima brutta sorpresa: la batteria della mia Africa è morta! Trovo al mercato un'altra batteria più debole, ma non c'è altra soluzione per continuare il viaggio.
Partiamo avvolti dalla nebbia. Freddo fino a Mathura dove visitiamo l'ashram di Marisa, che ci offre un ottimo pranzo e tanta serenità.
Raggiungiamo Agra, attraversando il delirio della città vecchia, prima del tramonto.
Vigilia di Natale
Non avevo mai visto il Taj Mahal avvolto da una nebbia tanto fitta. Per vedere tutta la sua straordinaria bellezza illuminata da tenui raggi di sole dobbiamo aspettare le prime ore del pomeriggio.
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28° 38,667'N 77° 11,583'E
È l'ultima tappa del viaggio. Lasciamo il palazzo del Maraja per tuffarci nel caos infernale della pianura indiana. Ci investe anche il monsone, un'ora di vento forte e acqua a catinelle. Arriviamo a Delhi nel pomeriggio, per fortuna è domenica e il traffico è sopportabile.
Cosa si prova quando si arriva alla fine di un viaggio come questo?
L'euforia di aver raggiunto la meta dura poco perché si concretizza che il viaggio è finito. Soddisfazione? Sì!
Spossatezza e vertigine? Anche.
Passano in un lampo tutte le immagini del viaggio. Alcune sembrano lontane anni, come se appartenessero ad un viaggio precedente. Aiuta a mettere a fuoco le cose la cronologia delle immagini del viaggio.
I krapfen sloveni, l'eleganza di Budapest e l'ottimo vino Tocai vendemmia tardiva. Le minigonne e i tacchi a spillo dell'Ucraina e della Russia. I cappelloni dei militari in Kazakistan. Il caldo terribile in Uzbekistan, le oasi di Khiva e Bukara. La fregatura del Pamir e la sorpresa delle montagne Kirghise. I cinesi che si incazzano, ma non è colpa mia se oltre ad essere cari sono anche antipatici ed ineducati. La cordialità dei pakistani che già conoscevo che si riconfermano in cima alla lista per simpatia e disponibilità. La magia, il caos e gli odori dell'India.
Ringrazio la buona sorte per avermi dato la possibilità di concludere il viaggio. Grazie a tutti quelli che ho incontrato e sono tanti, che hanno calorosamente voluto stringermi la mano. Non ho mai rifiutato di stringere la mano a nessuno. Ne ho trovate diverse: sudate, unte, sporche, rugose, viscide, molli, tenaci e curate. Dietro a una mano tesa c'è un braccio e dietro ad un braccio c'è sempre un essere umano che pensa, si aspetta qualcosa di buono dalla vita e sogna. Grazie a tutti i bambini a cui ho strappato un sorriso, un grazie particolare ai bambini di Nura. Grazie anche a tutte le persone buone che ci hanno spalancato la porta della loro casa per darci un riparo, a quelle che ci hanno sfamato con il poco cibo che avevano, ma era tutto quello che avevano.
Grazie alle gomme che hanno rotolato e strisciato con la pioggia, nel fango, sulle pietre e nella polvere senza mai lamentarsi. Grazie alla moto, che ho deciso di chiamare Camilla, che stoicamente, mi ha sostenuto in ogni momento e mai mi ha abbandonato. Grazie a tutti quelli che mi hanno sostenuto, incitato e incoraggiato. I messaggi positivi arrivano sempre ed aiutano tanto. Grazie ai miei compagni di viaggio: Antonio, Barbara, Bibo e Gianni.
Grazie al "mio angelo" per la costante e quotidiana presenza.
In conclusione potrei dire che è ora di pensare al prossimo viaggio, invece dico che sono ancora immerso in questo e che ci starò ancora per molto tempo.
È l'ultima tappa del viaggio. Lasciamo il palazzo del Maraja per tuffarci nel caos infernale della pianura indiana. Ci investe anche il monsone, un'ora di vento forte e acqua a catinelle. Arriviamo a Delhi nel pomeriggio, per fortuna è domenica e il traffico è sopportabile.
Cosa si prova quando si arriva alla fine di un viaggio come questo?
L'euforia di aver raggiunto la meta dura poco perché si concretizza che il viaggio è finito. Soddisfazione? Sì!
Spossatezza e vertigine? Anche.
Passano in un lampo tutte le immagini del viaggio. Alcune sembrano lontane anni, come se appartenessero ad un viaggio precedente. Aiuta a mettere a fuoco le cose la cronologia delle immagini del viaggio.
I krapfen sloveni, l'eleganza di Budapest e l'ottimo vino Tocai vendemmia tardiva. Le minigonne e i tacchi a spillo dell'Ucraina e della Russia. I cappelloni dei militari in Kazakistan. Il caldo terribile in Uzbekistan, le oasi di Khiva e Bukara. La fregatura del Pamir e la sorpresa delle montagne Kirghise. I cinesi che si incazzano, ma non è colpa mia se oltre ad essere cari sono anche antipatici ed ineducati. La cordialità dei pakistani che già conoscevo che si riconfermano in cima alla lista per simpatia e disponibilità. La magia, il caos e gli odori dell'India.
Ringrazio la buona sorte per avermi dato la possibilità di concludere il viaggio. Grazie a tutti quelli che ho incontrato e sono tanti, che hanno calorosamente voluto stringermi la mano. Non ho mai rifiutato di stringere la mano a nessuno. Ne ho trovate diverse: sudate, unte, sporche, rugose, viscide, molli, tenaci e curate. Dietro a una mano tesa c'è un braccio e dietro ad un braccio c'è sempre un essere umano che pensa, si aspetta qualcosa di buono dalla vita e sogna. Grazie a tutti i bambini a cui ho strappato un sorriso, un grazie particolare ai bambini di Nura. Grazie anche a tutte le persone buone che ci hanno spalancato la porta della loro casa per darci un riparo, a quelle che ci hanno sfamato con il poco cibo che avevano, ma era tutto quello che avevano.
Grazie alle gomme che hanno rotolato e strisciato con la pioggia, nel fango, sulle pietre e nella polvere senza mai lamentarsi. Grazie alla moto, che ho deciso di chiamare Camilla, che stoicamente, mi ha sostenuto in ogni momento e mai mi ha abbandonato. Grazie a tutti quelli che mi hanno sostenuto, incitato e incoraggiato. I messaggi positivi arrivano sempre ed aiutano tanto. Grazie ai miei compagni di viaggio: Antonio, Barbara, Bibo e Gianni.
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01/09/2012 16.15
30° 20,333'N 76° 23,483'E
Se il Tempio d'Oro dei Sikh non esistesse bisognerebbe inventarlo. Le facce che si incontrano nel tempio sembrano appartenere ad un altro tempo. Uomini con baffoni e barba folta con turbanti in testa di tutti i colori che pregano e che si immergono nella grande vasca che circonda il Tempio. Anche le donne non sono da meno nei loro sari eleganti e colorati. L'aria che si respira, nonostante il caldo asfissiante, è quella che trasmettono i fedeli, vale a dire, relax e pace interiore.
Partiamo da Amritsar a mezzogiorno per spezzare in due la tappa finale che ci condurrà a Delhi. Pronti via e al primo semaforo un indiano sbadato sale con la gomma anteriore della sua auto sul piede di Antonio. Chiede scusa e scende dal piede. Antonio ringrazia.
La statale che conduce a Delhi non è cambiata. È sempre da infarto. Completa anarchia e uso del clacson tipo stadio Meazza al derby. Comanda il bus di linea: aggressivo, spietato e dal suono inconfondibile dei pullman degli anni sessanta parapira parapira parapira. Seguono i camion che dove si piazzano, stanno e non si spostano neanche se li prendi a cannonate, li puoi riconoscere per il clacson tipo barrito elefante o sirena Titanic. Al terzo posto ci metterei i minibus che viaggiano alla velocità della luce seguendo traiettorie impossibili che fanno a gara a sfiorarsi di un niente. In ordine sparso, aggiungerei gli indecisi, vale a dire quelli che ti sorpassano e poi si fermano davanti a te senza un motivo; le biciclette a pedale e quelle a spinta; i carretti a pedale e trainati da animali; i motorini tipo famiglia con 5/6 persone a bordo e quelli da intervista, vale a dire che uno sconosciuto ti arriva a due millimetri dal naso e ti fa delle domande; i pedoni e per finire gli animali di tutte le specie.
Nel cocktail c'è da aggiungere il caldo, l'umidità, lo smog e le crisi di panico quando la strada si stringe e ti senti in trappola.
Raggiungiamo per la notte un favoloso palazzo con camere suite tipo: è arrivato o Marajà. Un'isola felice in mezzo alla tempesta della pianura indiana. Direi che ce la siamo proprio meritata...
Se il Tempio d'Oro dei Sikh non esistesse bisognerebbe inventarlo. Le facce che si incontrano nel tempio sembrano appartenere ad un altro tempo. Uomini con baffoni e barba folta con turbanti in testa di tutti i colori che pregano e che si immergono nella grande vasca che circonda il Tempio. Anche le donne non sono da meno nei loro sari eleganti e colorati. L'aria che si respira, nonostante il caldo asfissiante, è quella che trasmettono i fedeli, vale a dire, relax e pace interiore.
Partiamo da Amritsar a mezzogiorno per spezzare in due la tappa finale che ci condurrà a Delhi. Pronti via e al primo semaforo un indiano sbadato sale con la gomma anteriore della sua auto sul piede di Antonio. Chiede scusa e scende dal piede. Antonio ringrazia.
La statale che conduce a Delhi non è cambiata. È sempre da infarto. Completa anarchia e uso del clacson tipo stadio Meazza al derby. Comanda il bus di linea: aggressivo, spietato e dal suono inconfondibile dei pullman degli anni sessanta parapira parapira parapira. Seguono i camion che dove si piazzano, stanno e non si spostano neanche se li prendi a cannonate, li puoi riconoscere per il clacson tipo barrito elefante o sirena Titanic. Al terzo posto ci metterei i minibus che viaggiano alla velocità della luce seguendo traiettorie impossibili che fanno a gara a sfiorarsi di un niente. In ordine sparso, aggiungerei gli indecisi, vale a dire quelli che ti sorpassano e poi si fermano davanti a te senza un motivo; le biciclette a pedale e quelle a spinta; i carretti a pedale e trainati da animali; i motorini tipo famiglia con 5/6 persone a bordo e quelli da intervista, vale a dire che uno sconosciuto ti arriva a due millimetri dal naso e ti fa delle domande; i pedoni e per finire gli animali di tutte le specie.
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31° 38,000'N 74° 51,583'E
Da Islamabad a Lahore c'è una bella autostrada a tre corsie. Dodici anni fa era vietata alle moto. Adesso anche, ma noi ci infiliamo lo stesso, nessuno ci ferma ed il gioco è fatto. L'autostrada oltretutto è deserta, buon per noi che maciniamo trecento chilometri in meno di 4 ore. Seguiamo la circonvallazione di Lahore per evitare la città, ma la metropoli pakistana riesce lo stesso ad inghiottirci con il suo traffico caotico. Ognuno va per la sua strada, vige l'anarchia totale, c'è chi attraversa la strada improvvisamente, chi si ferma a conversare tranquillamente in doppia corsia e quelli contro mano.
Arriviamo in dogana durante la pausa pranzo. Ne approfittiamo per farci invitare a pranzo dai poliziotti pakistani.
Anche la dogana indiana è superata con facilità.
Entriamo ad Amritsar all'ora di punta. Siamo fermi a un semaforo. Arriva un motorino con due donne a bordo che in un solo colpo riesce a tamponare la mia moto e quella di Antonio. Nessun danno è l'India che ci ha dato il benvenuto.
Da Islamabad a Lahore c'è una bella autostrada a tre corsie. Dodici anni fa era vietata alle moto. Adesso anche, ma noi ci infiliamo lo stesso, nessuno ci ferma ed il gioco è fatto. L'autostrada oltretutto è deserta, buon per noi che maciniamo trecento chilometri in meno di 4 ore. Seguiamo la circonvallazione di Lahore per evitare la città, ma la metropoli pakistana riesce lo stesso ad inghiottirci con il suo traffico caotico. Ognuno va per la sua strada, vige l'anarchia totale, c'è chi attraversa la strada improvvisamente, chi si ferma a conversare tranquillamente in doppia corsia e quelli contro mano.
Arriviamo in dogana durante la pausa pranzo. Ne approfittiamo per farci invitare a pranzo dai poliziotti pakistani.
Anche la dogana indiana è superata con facilità.
Entriamo ad Amritsar all'ora di punta. Siamo fermi a un semaforo. Arriva un motorino con due donne a bordo che in un solo colpo riesce a tamponare la mia moto e quella di Antonio. Nessun danno è l'India che ci ha dato il benvenuto.
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29/08/2012 21.34
33° 43,000'N 73° 03,000'E
Riusciamo a percorrere solo 20 km da Besham. Al primo posto di blocco militare ci affidano alla nostra scorta. La scorta oggi è più seria di quella di ieri, ma più lenta. Incomprensibile come sempre la motivazione. Un'orda di Mongoli in zona? Invasione di alieni extra mondo? Un gruppo di Lanzichenecchi allo sbando? Oppure i soliti talebani? Già i talebani. Mi devono spiegare che faccia hanno i talebani. Ho sempre pensato a tipacci con una folta barba nera, ma qui hanno tutti una folta barba nera. Secondo me la vera ragione della scorta è il traffico che da queste parti è terribile.
La nostra andatura in salita non supera i 20 km/h mentre in discesa raggiungiamo anche i 40 km/h. Passano le ore, non i chilometri. Attraversiamo villaggi fuori dal tempo con bancarelle di frutta e verdura, minuscoli negozi, panetterie e locande affacciate su una strada piena di pozzanghere maleodoranti. A terra c'è di tutto: tappi di plastica, cartacce, barattoli di latta e bottiglie sono gli oggetti più voluminosi. Sopra ogni cosa c'è la patina del tempo. È tutto vissuto, consumato, divorato dai numerosissimi abitanti che sfilano incuriositi dalle moto sui due lati della strada. C'è fermento. Un mondo in continuo movimento.
Percorriamo più di duecento chilometri accompagnati dalle scorte militari che si alternano al nostro fianco, poi improvvisamente siamo liberi di correre senza restrizioni. Arriviamo ad Islamabad poco prima del tramonto.
Riusciamo a percorrere solo 20 km da Besham. Al primo posto di blocco militare ci affidano alla nostra scorta. La scorta oggi è più seria di quella di ieri, ma più lenta. Incomprensibile come sempre la motivazione. Un'orda di Mongoli in zona? Invasione di alieni extra mondo? Un gruppo di Lanzichenecchi allo sbando? Oppure i soliti talebani? Già i talebani. Mi devono spiegare che faccia hanno i talebani. Ho sempre pensato a tipacci con una folta barba nera, ma qui hanno tutti una folta barba nera. Secondo me la vera ragione della scorta è il traffico che da queste parti è terribile.
La nostra andatura in salita non supera i 20 km/h mentre in discesa raggiungiamo anche i 40 km/h. Passano le ore, non i chilometri. Attraversiamo villaggi fuori dal tempo con bancarelle di frutta e verdura, minuscoli negozi, panetterie e locande affacciate su una strada piena di pozzanghere maleodoranti. A terra c'è di tutto: tappi di plastica, cartacce, barattoli di latta e bottiglie sono gli oggetti più voluminosi. Sopra ogni cosa c'è la patina del tempo. È tutto vissuto, consumato, divorato dai numerosissimi abitanti che sfilano incuriositi dalle moto sui due lati della strada. C'è fermento. Un mondo in continuo movimento.
Percorriamo più di duecento chilometri accompagnati dalle scorte militari che si alternano al nostro fianco, poi improvvisamente siamo liberi di correre senza restrizioni. Arriviamo ad Islamabad poco prima del tramonto.
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28/08/2012 20.22
34° 58,967'N 72° 51,750'E
Lasciamo il nostro rifugio paradisiaco di alta montagna Rama Lake. Lungo la strada che conduce ad Astore incontriamo numerose donne che accompagnano gli animali verso i pascoli. Da Astore la strada, poco più larga di una mulattiera, precipita in una stretta gola rocciosa fino ad incrociare la Karakorum Highway. Scendiamo ancora, inizia il caldo. Dopo due ore senza incontrare anima viva ci fermano ad un posto di polizia. Dobbiamo aspettare più di un'ora prima di ripartire preceduti dalla nostra scorta armata, vale a dire Valentino Rossi su Honda, pilota ufficiale e Danny Pedrosa seconda guida sul sellino posteriore. I due, una coppia formidabile partono a testa bassa senza casco, Valentino tiene a bada la sua potente moto giapponese mentre Pedrosa tiene a bada il suo kalashnikov. Siamo in fuga da una quindicina di chilometri, nel gruppo di testa, ormai irraggiungibili dai mastodontici bus di linea, quando il potente mezzo militare si ferma per il rifornimento. Il gruppo degli autobus guidati dal Vip Express pilotato dal un driver professionista soprannominato Il Califfo per il suo naso affilato che sfiora la barba ci supera strombazzando. Ripartiamo ed in breve tempo superiamo tutta la flotta degli autobus. L'unico che non vuole farsi superare è il Vip Express. Sulla sua fiancata ci sono i segni, vere e proprie ferite ormai coperte di ruggine degli audaci che negli anni hanno tentato di sorpassarlo. Il Califfo è famoso in Pakistan. Detiene il record di guida senza soste nella tratta da Gilgit ad Islamabad di 17 ore. Potenzialmente un serial killer, avrebbe una gran voglia di buttarci tutti nel burrone, ma si trattiene, vuole solo giocare. Valentino e Pedrosa cercano in tutti i modi di superarlo, ma il Califfo non molla. Pedrosa imbraccia il kalashnikov. Che abbia intenzione di sparare alle gomme? Niente affatto ha solo cambiato la posizione dalla spalla destra a quella sinistra. Finalmente c'è uno slargo. Superiamo tutti di slancio il Califfo che mastica amaro. Questa situazione è destinata a ripetersi tutto il giorno. I posti di blocco sono numerosi. Nessuno conosce il vero motivo di questa operazione militare. È una questione di sicurezza continuano a ripetere i militari. A noi non resta che accettare la cosa, che alla lunga è anche divertente. La forza di questo paese è proprio questa, anche nelle tragedie, lo spirito della gente è quello di reagire con un sorriso.
Arriviamo a Besham alle venti. Anche oggi una maratona.
Lasciamo il nostro rifugio paradisiaco di alta montagna Rama Lake. Lungo la strada che conduce ad Astore incontriamo numerose donne che accompagnano gli animali verso i pascoli. Da Astore la strada, poco più larga di una mulattiera, precipita in una stretta gola rocciosa fino ad incrociare la Karakorum Highway. Scendiamo ancora, inizia il caldo. Dopo due ore senza incontrare anima viva ci fermano ad un posto di polizia. Dobbiamo aspettare più di un'ora prima di ripartire preceduti dalla nostra scorta armata, vale a dire Valentino Rossi su Honda, pilota ufficiale e Danny Pedrosa seconda guida sul sellino posteriore. I due, una coppia formidabile partono a testa bassa senza casco, Valentino tiene a bada la sua potente moto giapponese mentre Pedrosa tiene a bada il suo kalashnikov. Siamo in fuga da una quindicina di chilometri, nel gruppo di testa, ormai irraggiungibili dai mastodontici bus di linea, quando il potente mezzo militare si ferma per il rifornimento. Il gruppo degli autobus guidati dal Vip Express pilotato dal un driver professionista soprannominato Il Califfo per il suo naso affilato che sfiora la barba ci supera strombazzando. Ripartiamo ed in breve tempo superiamo tutta la flotta degli autobus. L'unico che non vuole farsi superare è il Vip Express. Sulla sua fiancata ci sono i segni, vere e proprie ferite ormai coperte di ruggine degli audaci che negli anni hanno tentato di sorpassarlo. Il Califfo è famoso in Pakistan. Detiene il record di guida senza soste nella tratta da Gilgit ad Islamabad di 17 ore. Potenzialmente un serial killer, avrebbe una gran voglia di buttarci tutti nel burrone, ma si trattiene, vuole solo giocare. Valentino e Pedrosa cercano in tutti i modi di superarlo, ma il Califfo non molla. Pedrosa imbraccia il kalashnikov. Che abbia intenzione di sparare alle gomme? Niente affatto ha solo cambiato la posizione dalla spalla destra a quella sinistra. Finalmente c'è uno slargo. Superiamo tutti di slancio il Califfo che mastica amaro. Questa situazione è destinata a ripetersi tutto il giorno. I posti di blocco sono numerosi. Nessuno conosce il vero motivo di questa operazione militare. È una questione di sicurezza continuano a ripetere i militari. A noi non resta che accettare la cosa, che alla lunga è anche divertente. La forza di questo paese è proprio questa, anche nelle tragedie, lo spirito della gente è quello di reagire con un sorriso.
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27/08/2012
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27/08/2012 06.33
35° 21,333'N 74° 48,417'E
Dopo due giorni lasciamo il Motel K2, lo storico albergo museo che ha ospitato tutte le scalate che hanno scritto la storia dell'alpinismo italiano. Saliamo subito di quota ed entriamo nel Parco Nazionale Deosai. Uno sterrato pietroso ci accompagna fino alla cima del primo passo a 4000 metri. Siamo su un altopiano simile a quelli tibetani. Prati verdi adagiati su dolci colline. La strada peggiora improvvisamente. Ci sono dei tratti di qualche centinaio di metri di pietre grosse come meloni appoggiate una vicino all'altra, che aspettano di essere livellate e ricoperte di terra. Passarci sopra è un delirio, si rischia di finire a terra ad ogni metro. Alcuni di questi tratti pietrosi si possono evitare seguendo piste polverose alternative che attraversano i prati. Peccato che queste varianti siano piene di buche e di fango. Prima di scendere dall'altopiano c'è ancora un passo da superare, poi una lunga discesa ci conduce ad Astore. L'animata cittadina non ha molto da offrire se non la curiosità dei suoi abitanti nei nostri confronti. Chiudiamo la giornata con l'ennesima scalata fino al Motel Rama Lake dove oltre alle spaziose camere ci attende un drappello di militari in divisa da parata armati di tutto punto che scortano un uomo politico pakistano. Oggi abbiamo percorso 130 km in sette ore e mezza.
Dopo due giorni lasciamo il Motel K2, lo storico albergo museo che ha ospitato tutte le scalate che hanno scritto la storia dell'alpinismo italiano. Saliamo subito di quota ed entriamo nel Parco Nazionale Deosai. Uno sterrato pietroso ci accompagna fino alla cima del primo passo a 4000 metri. Siamo su un altopiano simile a quelli tibetani. Prati verdi adagiati su dolci colline. La strada peggiora improvvisamente. Ci sono dei tratti di qualche centinaio di metri di pietre grosse come meloni appoggiate una vicino all'altra, che aspettano di essere livellate e ricoperte di terra. Passarci sopra è un delirio, si rischia di finire a terra ad ogni metro. Alcuni di questi tratti pietrosi si possono evitare seguendo piste polverose alternative che attraversano i prati. Peccato che queste varianti siano piene di buche e di fango. Prima di scendere dall'altopiano c'è ancora un passo da superare, poi una lunga discesa ci conduce ad Astore. L'animata cittadina non ha molto da offrire se non la curiosità dei suoi abitanti nei nostri confronti. Chiudiamo la giornata con l'ennesima scalata fino al Motel Rama Lake dove oltre alle spaziose camere ci attende un drappello di militari in divisa da parata armati di tutto punto che scortano un uomo politico pakistano. Oggi abbiamo percorso 130 km in sette ore e mezza.
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35° 17,750'N 75° 38,750'E
Lasciamo la valle incantata dell'Hunza di buon mattino. La Karakorum Highway è deserta. Pensavo che da Kharimabad a Gilgit incontrassimo qualche camion. Niente. Gilgit è sotto lo stretto controllo
militare. Nei giorni scorsi c'è stato qualche scontro. Noi in ogni caso avremmo evitato questa città. Riprendiamo la Karakorum e la percorriamo per 40 km, poi attraversiamo il ponte che conduce verso Skardu. La strada molto stretta ed asfaltata corre a fianco dell'Indo. Su questa via non è possibile distrarsi neanche un minuto perché si rischierebbe di finire nelle acque impetuose del fiume. La media non supera i trenta km/h. Raggiungiamo Skardu dopo 12 ore di moto. All'entrata della città un chiodo abbandonato da qualcuno non aspetta altro che di infilarsi nella mia gomma posteriore. Una bella sfortuna bucare poco prima dello striscione d'arrivo, ma anche un colpo di fortuna forare davanti a un gommista.
Lasciamo la valle incantata dell'Hunza di buon mattino. La Karakorum Highway è deserta. Pensavo che da Kharimabad a Gilgit incontrassimo qualche camion. Niente. Gilgit è sotto lo stretto controllo
militare. Nei giorni scorsi c'è stato qualche scontro. Noi in ogni caso avremmo evitato questa città. Riprendiamo la Karakorum e la percorriamo per 40 km, poi attraversiamo il ponte che conduce verso Skardu. La strada molto stretta ed asfaltata corre a fianco dell'Indo. Su questa via non è possibile distrarsi neanche un minuto perché si rischierebbe di finire nelle acque impetuose del fiume. La media non supera i trenta km/h. Raggiungiamo Skardu dopo 12 ore di moto. All'entrata della città un chiodo abbandonato da qualcuno non aspetta altro che di infilarsi nella mia gomma posteriore. Una bella sfortuna bucare poco prima dello striscione d'arrivo, ma anche un colpo di fortuna forare davanti a un gommista.
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36° 19,500'N 74° 41,367'E
Quaranta chilometri di pura libidine la strada che da Sust conduce attraverso uno scenario fantastico fino all'imbarcadero del lago, anche se chiamarlo imbarcadero mi sembra esagerato. Una stradaccia piena di buche, pietre e rigagnoli d'acqua fresca conduce sulla sponda del bacino. Due barconi tipo chiatta trasporto sabbia attendono all'ormeggio circondate da una decina di pakistani che aspettano i clienti. Di clienti da queste parti non ce ne sono. Inizia la trattativa. Sparano alto. Noi offriamo la metà. Il capo sorride e scuote la testa. No! Chiediamo incuriositi come sistemeranno le moto visto che la barca non ha ponte e come faranno a caricarle visto che dal terreno alla barca c'è un metro di dislivello. Sopra le assi di traverso e non preoccupatevi è il nostro lavoro. Chiudiamo la trattativa per un trasporto esclusivo solo per noi. Le moto vengono agguantate da 4 energumeni che le alzano di peso. Mezz'ora ed il mezzo è pronto a partire. Arriva un pakistano in moto. Il capo del barcone chiede a noi il permesso di caricarlo. Acconsentiamo. Sorrisone di tutta la ciurma. I pakistani sono veramente simpatici.
Il lago si è formato a seguito di un terremoto. La frana scesa da due lati ha bloccato la valle. Le acque del lago a monte sono grigio scuro, dopo una decina di chilometri diventano verde giada.
Per arrivare a destinazione ci vogliono due ore. Le operazioni di scarico sono uguali a quelle di carico con la differenza che il nostro barcone è in seconda fila quindi le moto devono passarci sopra. Anche la strada, un vero gran premio della montagna, è ripida e coperta di una spanna di polvere. Superata la Cima Coppi, la strada è tutta in discesa fino a Karimabad. Per la notte ci arrampichiamo allo Stelvio di Duikar, una cronoscalata di una decina di chilometri con pendenze da capogiro incitati dai simpatici centenari mangiatori di albicocche che abitano in questo posto paradisiaco.
Quaranta chilometri di pura libidine la strada che da Sust conduce attraverso uno scenario fantastico fino all'imbarcadero del lago, anche se chiamarlo imbarcadero mi sembra esagerato. Una stradaccia piena di buche, pietre e rigagnoli d'acqua fresca conduce sulla sponda del bacino. Due barconi tipo chiatta trasporto sabbia attendono all'ormeggio circondate da una decina di pakistani che aspettano i clienti. Di clienti da queste parti non ce ne sono. Inizia la trattativa. Sparano alto. Noi offriamo la metà. Il capo sorride e scuote la testa. No! Chiediamo incuriositi come sistemeranno le moto visto che la barca non ha ponte e come faranno a caricarle visto che dal terreno alla barca c'è un metro di dislivello. Sopra le assi di traverso e non preoccupatevi è il nostro lavoro. Chiudiamo la trattativa per un trasporto esclusivo solo per noi. Le moto vengono agguantate da 4 energumeni che le alzano di peso. Mezz'ora ed il mezzo è pronto a partire. Arriva un pakistano in moto. Il capo del barcone chiede a noi il permesso di caricarlo. Acconsentiamo. Sorrisone di tutta la ciurma. I pakistani sono veramente simpatici.
Il lago si è formato a seguito di un terremoto. La frana scesa da due lati ha bloccato la valle. Le acque del lago a monte sono grigio scuro, dopo una decina di chilometri diventano verde giada.
Per arrivare a destinazione ci vogliono due ore. Le operazioni di scarico sono uguali a quelle di carico con la differenza che il nostro barcone è in seconda fila quindi le moto devono passarci sopra. Anche la strada, un vero gran premio della montagna, è ripida e coperta di una spanna di polvere. Superata la Cima Coppi, la strada è tutta in discesa fino a Karimabad. Per la notte ci arrampichiamo allo Stelvio di Duikar, una cronoscalata di una decina di chilometri con pendenze da capogiro incitati dai simpatici centenari mangiatori di albicocche che abitano in questo posto paradisiaco.
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21/08/2012
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38° 26,500'N 75° 02,750'E
Siamo arrivati in Pakistan. Dopo 12 anni di nuovo nel paese dei Puri. Dalla Cina siamo saliti di 4700 metri per superare il Passo Khunjerab. Dalla bella strada asfaltata cinese alla pista a tratti disastrata pakistana. La Karakorum Highway prima della grande frana che ha bloccato la Hunza Valley era una strada internazionale battuta dai mezzi pesanti. Oggi il lago lungo 23 km formatosi dopo la frana si può attraversare solo con delle barche leggere. Il tratto che abbiamo percorso oggi dal Khunjerab a Sust è in parte in rifacimento in parte in stato di abbandono.
Sono felice di essere in questo paese. Un paese spettacolare dal punto di vista paesaggistico, ma pieno di tensioni. Sciiti, sunniti, talebani, pashtun, dacoit creano molti grattacapi a questo paese. Un paese che di problemi ne ha sempre avuti ad incominciare da un confine, quello con l'India, inventato sessanta e passa anni fa dagli inglesi che ancora crea rancore tra i due giganti asiatici. Il Pakistan non è un paese comune. È un paese dove bisogna prestare attenzione. Ci sono aree pericolose, zone da cui noi staremo alla larga. La forza di questo paese sta nei 180 milioni dei suoi abitanti. Alcuni di loro, molto pochi, come ho accennato prima vanno evitati, ma il ricordo è ancora vivo di quelli, tanti, che mi hanno dato sempre una mano. Sono le 19, a Sust è appena incominciata la preghiera serale, un augurio per la nostra permanenza in questo straordinario paese.
Siamo arrivati in Pakistan. Dopo 12 anni di nuovo nel paese dei Puri. Dalla Cina siamo saliti di 4700 metri per superare il Passo Khunjerab. Dalla bella strada asfaltata cinese alla pista a tratti disastrata pakistana. La Karakorum Highway prima della grande frana che ha bloccato la Hunza Valley era una strada internazionale battuta dai mezzi pesanti. Oggi il lago lungo 23 km formatosi dopo la frana si può attraversare solo con delle barche leggere. Il tratto che abbiamo percorso oggi dal Khunjerab a Sust è in parte in rifacimento in parte in stato di abbandono.
Sono felice di essere in questo paese. Un paese spettacolare dal punto di vista paesaggistico, ma pieno di tensioni. Sciiti, sunniti, talebani, pashtun, dacoit creano molti grattacapi a questo paese. Un paese che di problemi ne ha sempre avuti ad incominciare da un confine, quello con l'India, inventato sessanta e passa anni fa dagli inglesi che ancora crea rancore tra i due giganti asiatici. Il Pakistan non è un paese comune. È un paese dove bisogna prestare attenzione. Ci sono aree pericolose, zone da cui noi staremo alla larga. La forza di questo paese sta nei 180 milioni dei suoi abitanti. Alcuni di loro, molto pochi, come ho accennato prima vanno evitati, ma il ricordo è ancora vivo di quelli, tanti, che mi hanno dato sempre una mano. Sono le 19, a Sust è appena incominciata la preghiera serale, un augurio per la nostra permanenza in questo straordinario paese.
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20/08/2012
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38° 26,500'N 75° 02,750'E
Lasciamo Kashgar, una città troppo cinese per i miei gusti, per il Lago Karacol.
La nostra guida non supera mai i 50 km/h perché ci sono tante telecamere che controllano la strada. Ci sono anche un paio di posti militari per l'ennesimo controllo del passaporto e l'ispezione dei bagagli. La strada incomincia a salire e si infila in una stretta gola con bellissime rocce colorate. In pochi chilometri superiamo quota 3000 metri. Ci lasciamo alle spalle un lago artificiale con le acque stranamente verdi, poi raggiungiamo il lago Karacol. Un luogo paradisiaco con il Mutzagata coperto di neve con i suoi 7800 metri che riflette nelle acque del lago. Dormiremo tutti insieme in una jurta attrezzata con materassini a terra e coperte a volontà. 3650 metri di altitudine sono tanti.
Lasciamo Kashgar, una città troppo cinese per i miei gusti, per il Lago Karacol.
La nostra guida non supera mai i 50 km/h perché ci sono tante telecamere che controllano la strada. Ci sono anche un paio di posti militari per l'ennesimo controllo del passaporto e l'ispezione dei bagagli. La strada incomincia a salire e si infila in una stretta gola con bellissime rocce colorate. In pochi chilometri superiamo quota 3000 metri. Ci lasciamo alle spalle un lago artificiale con le acque stranamente verdi, poi raggiungiamo il lago Karacol. Un luogo paradisiaco con il Mutzagata coperto di neve con i suoi 7800 metri che riflette nelle acque del lago. Dormiremo tutti insieme in una jurta attrezzata con materassini a terra e coperte a volontà. 3650 metri di altitudine sono tanti.
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19/08/2012
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39° 28,583'N 75° 58,967'E
Siamo stati fortunati ad arrivare a Kashgar alla fine del Ramadan. Tutti i musulmani hanno festeggiato domenica mattina in piazza davanti alla moschea. Tutti i ristoranti nelle vie della città vecchia hanno iniziato a cucinare, grigliare carne e cuocere il pane nei forni. Il bazar degli animali invece è rimasto chiuso. Kashgar colpisce per quello che doveva essere una volta, una città in mattoni sulla via della seta ai bordi di un grande deserto come il Taklimakan. Oggi la Cina moderna l'ha completamente inghiottita con i suoi grattaceli e gli alberghi usa e getta come il nostro dove la manutenzione non esiste perché costa di meno abbattere e rifare tutto. Una realtà difficile da comprendere, l'unico alibi è il turismo interno cinese che è in costante aumento, centinaia, migliaia di persone al giorno che si spostano da un posto all'altro divorando strade che in pochi anni sono completamente da rifare. Kashgar rispetto ad otto anni fa è molto cambiata e continuerà a cambiare. Domani ci sposteremo sulle alte vette delle montagne del Karakorum verso un paese che amo molto. Un paese che rivedrò volentieri dopo 12 anni. Domani saremo ospiti in un campo tendato, poi entreremo nel Paese dei Puri, il Pakistan.
Siamo stati fortunati ad arrivare a Kashgar alla fine del Ramadan. Tutti i musulmani hanno festeggiato domenica mattina in piazza davanti alla moschea. Tutti i ristoranti nelle vie della città vecchia hanno iniziato a cucinare, grigliare carne e cuocere il pane nei forni. Il bazar degli animali invece è rimasto chiuso. Kashgar colpisce per quello che doveva essere una volta, una città in mattoni sulla via della seta ai bordi di un grande deserto come il Taklimakan. Oggi la Cina moderna l'ha completamente inghiottita con i suoi grattaceli e gli alberghi usa e getta come il nostro dove la manutenzione non esiste perché costa di meno abbattere e rifare tutto. Una realtà difficile da comprendere, l'unico alibi è il turismo interno cinese che è in costante aumento, centinaia, migliaia di persone al giorno che si spostano da un posto all'altro divorando strade che in pochi anni sono completamente da rifare. Kashgar rispetto ad otto anni fa è molto cambiata e continuerà a cambiare. Domani ci sposteremo sulle alte vette delle montagne del Karakorum verso un paese che amo molto. Un paese che rivedrò volentieri dopo 12 anni. Domani saremo ospiti in un campo tendato, poi entreremo nel Paese dei Puri, il Pakistan.
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17/08/2012
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39° 28,500'N 75° 58,667'E
Lasciamo la famiglia che ci ha ospitato per la notte. Quasi commovente la nostra partenza con una mamma e i suoi 4 bambini seduti sui gradini della loro casa che salutano.
Entriamo in Cina. La dogana che 8 anni fa era nuova è in uno stato pietoso. Forse il terremoto ha colpito anche l'enorme edificio della frontiera.
Anche la strada è un disastro. Per 130 chilometri i lavori in corso ci costringono ad un vero e proprio percorso di guerra. Di tanto in tanto scompariamo del tutto inghiottiti dai polveroni alzati dai mezzi pesanti. Raggiungiamo Kashgar nel pomeriggio. L'albergo che ci ospiterà per tre notti da fuori è tutto luci e specchi, dentro invece è molto trasandato. La sera Kashgar mostra tutto il suo volto di città multi etnica. Per la strada si trova di tutto: uiguri, han, musulmani, mongoli e mille sfaccettature di razze incrociate minori. La cena in un ristorante del centro a base di riso fritto, noodles piccanti, spaghetti al dente e carne di montone è ottima.
Lasciamo la famiglia che ci ha ospitato per la notte. Quasi commovente la nostra partenza con una mamma e i suoi 4 bambini seduti sui gradini della loro casa che salutano.
Entriamo in Cina. La dogana che 8 anni fa era nuova è in uno stato pietoso. Forse il terremoto ha colpito anche l'enorme edificio della frontiera.
Anche la strada è un disastro. Per 130 chilometri i lavori in corso ci costringono ad un vero e proprio percorso di guerra. Di tanto in tanto scompariamo del tutto inghiottiti dai polveroni alzati dai mezzi pesanti. Raggiungiamo Kashgar nel pomeriggio. L'albergo che ci ospiterà per tre notti da fuori è tutto luci e specchi, dentro invece è molto trasandato. La sera Kashgar mostra tutto il suo volto di città multi etnica. Per la strada si trova di tutto: uiguri, han, musulmani, mongoli e mille sfaccettature di razze incrociate minori. La cena in un ristorante del centro a base di riso fritto, noodles piccanti, spaghetti al dente e carne di montone è ottima.
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16/08/2012
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16/08/2012 19.10
39° 38,750'N 73° 52,467'E
Che cosa si prova in un villaggio che è stato raso al suolo da un terremoto?
Che effetto fa dormire sdraiato sul pavimento di una nuova casa di Nura?
Angoscia, vertigine, una sensazione strana come se qualcuno ti avesse svuotato.
La prima cosa che mi viene in mente: Dio esiste?
Perché se esistesse veramente come potrebbe permettere che 35 bambini finiscano i loro giorni sotto le macerie delle loro case.
I bambini sono il futuro del mondo, quando muore un bambino qualcosa dentro di noi si spegne.
È la terza volta che passo da Nura. La prima volta 8 anni fa, ero diretto in Tibet. La seconda pochi giorni fa, per consegnare alcune foto. Oggi. Un caso visto che se i cinesi ci avessero spostato l'ingresso come da nostra richiesta non avrei più rivisto Nura. Il destino forse ha voluto darmi la possibilità di raccontare questa tragedia dimenticata. Nura è sperduta sui monti, su una strada che conduce in un posto di confine Cinese poco battuto. I pochi che ci passano non immaginano nemmeno cosa sia successo, vedono solo un villaggio di casette bianche con i tetti blu. Niente a che vedere con le vecchie case sghimbescie in mattoni con le travi di legno. Le famiglie ci vivevano con i loro figli. Non mi ricordo i loro visi, mi ricordo bene di Askhar perché sono stato ospite a casa sua per due giorni. Mi ricordo il suo sorriso. Ci vuole davvero poco per far ridere un bambino, mi bastava fingere di essere un omone che cercava di acchiapparlo. Aveva tanta energia come tutti i bambini, viveva qui perché ci era nato, con i suoi sogni e un giorno forse si sarebbe sposato.
Dal 5 ottobre del 2008 lui, gli altri 34 bambini e i 42 adulti riposano su una spianata in cima al paese. C'è un monumento in pietra di una donna che guarda disperata verso il cielo e le lapidi con tutti i loro nomi. Dovrei scrivere un lungo elenco per fare in modo che i loro nomi non vengano dimenticati, ne citerò uno solo, quello del mio piccolo amico Askhar. Aveva 8 anni.
Che cosa si prova in un villaggio che è stato raso al suolo da un terremoto?
Che effetto fa dormire sdraiato sul pavimento di una nuova casa di Nura?
Angoscia, vertigine, una sensazione strana come se qualcuno ti avesse svuotato.
La prima cosa che mi viene in mente: Dio esiste?
Perché se esistesse veramente come potrebbe permettere che 35 bambini finiscano i loro giorni sotto le macerie delle loro case.
I bambini sono il futuro del mondo, quando muore un bambino qualcosa dentro di noi si spegne.
È la terza volta che passo da Nura. La prima volta 8 anni fa, ero diretto in Tibet. La seconda pochi giorni fa, per consegnare alcune foto. Oggi. Un caso visto che se i cinesi ci avessero spostato l'ingresso come da nostra richiesta non avrei più rivisto Nura. Il destino forse ha voluto darmi la possibilità di raccontare questa tragedia dimenticata. Nura è sperduta sui monti, su una strada che conduce in un posto di confine Cinese poco battuto. I pochi che ci passano non immaginano nemmeno cosa sia successo, vedono solo un villaggio di casette bianche con i tetti blu. Niente a che vedere con le vecchie case sghimbescie in mattoni con le travi di legno. Le famiglie ci vivevano con i loro figli. Non mi ricordo i loro visi, mi ricordo bene di Askhar perché sono stato ospite a casa sua per due giorni. Mi ricordo il suo sorriso. Ci vuole davvero poco per far ridere un bambino, mi bastava fingere di essere un omone che cercava di acchiapparlo. Aveva tanta energia come tutti i bambini, viveva qui perché ci era nato, con i suoi sogni e un giorno forse si sarebbe sposato.
Dal 5 ottobre del 2008 lui, gli altri 34 bambini e i 42 adulti riposano su una spianata in cima al paese. C'è un monumento in pietra di una donna che guarda disperata verso il cielo e le lapidi con tutti i loro nomi. Dovrei scrivere un lungo elenco per fare in modo che i loro nomi non vengano dimenticati, ne citerò uno solo, quello del mio piccolo amico Askhar. Aveva 8 anni.
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40° 55,667'N 72° 59,700'E
Alle 2 di notte sono uscito dalla yurta e sono rimasto esterrefatto dalla volta stellata. Una visione sublime della via Lattea e di altre migliaia di stelle. Anche il freddo intenso colpisce e non è una sorpresa trovare formazioni di ghiaccio sulle selle delle motociclette.
Partiamo alle 6,30. Il cielo è splendidamente azzurro. Per raggiungere la strada che da Biskech conduce a Osh dobbiamo scendere dai 3000 metri del lago Son Kul. Prima di scendere, saliamo di quota verso i 3400 metri, poi la pista inizia a cadere verso il basso. Le piogge abbondanti dei giorni scorsi hanno lasciato tratti di fango che ci obbligano ad una lenta andatura. Dopo un centinaio di chilometri incrociamo un tratto asfaltato, solo qualche decina di chilometri, poi una nuova pista che fiancheggia un fiume impetuoso ci riporta in quota. Attraversiamo alcuni villaggi, facciamo il solito rifornimento di benzina con le bottiglie, fino all'asfalto. Osh la nostra meta odierna dista ancora 500 km.
Superiamo un passo di 3200 metri, poi la strada scende al di sotto dei 1000 metri di altitudine. Fa molto caldo, anche il traffico, finora scarso, aumenta.
Il tramonto ci coglie alla periferia di Jalalabad, inutile e rischioso cercare di raggiungere Osh che dista ancora 100 km con il buio. Domani ci sposteremo ancora una volta a Nura, lì passeremo la notte, poi in Cina.
Alle 2 di notte sono uscito dalla yurta e sono rimasto esterrefatto dalla volta stellata. Una visione sublime della via Lattea e di altre migliaia di stelle. Anche il freddo intenso colpisce e non è una sorpresa trovare formazioni di ghiaccio sulle selle delle motociclette.
Partiamo alle 6,30. Il cielo è splendidamente azzurro. Per raggiungere la strada che da Biskech conduce a Osh dobbiamo scendere dai 3000 metri del lago Son Kul. Prima di scendere, saliamo di quota verso i 3400 metri, poi la pista inizia a cadere verso il basso. Le piogge abbondanti dei giorni scorsi hanno lasciato tratti di fango che ci obbligano ad una lenta andatura. Dopo un centinaio di chilometri incrociamo un tratto asfaltato, solo qualche decina di chilometri, poi una nuova pista che fiancheggia un fiume impetuoso ci riporta in quota. Attraversiamo alcuni villaggi, facciamo il solito rifornimento di benzina con le bottiglie, fino all'asfalto. Osh la nostra meta odierna dista ancora 500 km.
Superiamo un passo di 3200 metri, poi la strada scende al di sotto dei 1000 metri di altitudine. Fa molto caldo, anche il traffico, finora scarso, aumenta.
Il tramonto ci coglie alla periferia di Jalalabad, inutile e rischioso cercare di raggiungere Osh che dista ancora 100 km con il buio. Domani ci sposteremo ancora una volta a Nura, lì passeremo la notte, poi in Cina.
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15/08/2012 12.30
41° 45,833'N 75° 08,517'E
Lasciato il piccolo villaggio, dopo aver fatto rifornimento, ci infiliamo lungo la pista che ci condurrà al lago Son Kul.
Il paesaggio assomiglia molto alle nostre Alpi: foreste rade di abeti, rocce granitiche rosse e l'aria frizzante.
Saliamo in cima al passo a 3000 metri di altitudine fino a arrivare al lago.
Lungo le sponde del Son Kul ci sono numerose yurte. Passeremo la notte in un campo tendato gestito da una famiglia.
A pranzo ci cucinano pesce del lago arrostito con patate. A cena carote agliate con una specie di cannellone gigante di sfoglia di riso. Una giornata rilassante tra le mucche, i cavalli, gli asini e capre. Scende la sera ed anche la temperatura è bassa, l'aria rarefatta , non ci resta che infilarci nei nostri sacchi a pelo, non importa se sono solo le 19,30. Sarà una lunga notte.
Lasciato il piccolo villaggio, dopo aver fatto rifornimento, ci infiliamo lungo la pista che ci condurrà al lago Son Kul.
Il paesaggio assomiglia molto alle nostre Alpi: foreste rade di abeti, rocce granitiche rosse e l'aria frizzante.
Saliamo in cima al passo a 3000 metri di altitudine fino a arrivare al lago.
Lungo le sponde del Son Kul ci sono numerose yurte. Passeremo la notte in un campo tendato gestito da una famiglia.
A pranzo ci cucinano pesce del lago arrostito con patate. A cena carote agliate con una specie di cannellone gigante di sfoglia di riso. Una giornata rilassante tra le mucche, i cavalli, gli asini e capre. Scende la sera ed anche la temperatura è bassa, l'aria rarefatta , non ci resta che infilarci nei nostri sacchi a pelo, non importa se sono solo le 19,30. Sarà una lunga notte.
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15/08/2012 10.50
41° 27,233'N 74° 49,833'E
Una lunga lunga giornata.
Il Celeste Impero ha detto: no. Quindi dovremo ritornare a Nura il 16 agosto.
Oggi puntiamo verso la valla Fergana e il lago Son Kol. Seguiamo l'asfalto per un centinaio di chilometri, poi ci buttiamo su una pista pietrosa che da lì a 60 km ci deposita sulla cima dei 3000 metri di un passo. Le vedute sulle vallate e sulle montagne circostanti sono mozzafiato. Arriviamo in tarda serata, dopo 12 ore di moto, in un minuscolo villaggio, stanchi e affamati. Incontriamo per puro caso un uomo con cappellino e baffi che ci invita a casa sua.
Un ampio cortile fangoso, piove da un paio d'ore, conduce all'abitazione del kirghiso che è fiancheggiata dalla stalla. Un giovane cane nero che gironzola indisturbato ci dà il benvenuto insieme al miagolio di un micino legato al guinzaglio. La casa da fuori ha l'aspetto un po' vetusto, ma dentro è molto accogliente. Superato l'ingresso, dove depositiamo gli stivali infangati, si accede alla zona pranzo divisa in due spazi. Da una parte la sala da pranzo con il tavolo, una stufa in ferro incassata nella parete divide i due atri. Un modo intelligente per riscaldarli entrambi. Il nucleo famigliare è composto da un uomo, il nostro amico, sua figlia e tre bambini. Noi abbiamo un intero locale rettangolare ricoperto di tappeti a nostra disposizione. Alle nove passa il padrone di casa e spegne la luce, è ora di dormire...
Sveglia alle 6, colazione a base di tè, pane e marmellata, con tutta la famiglia, poi salutiamo e partiamo. Un ultimo sguardo alla famiglia riunita sul cortile, ogni volta lasciamo un pezzo del nostro cuore a questa gente semplice e ospitale, loro invece ci hanno regalato tutto quello che avevano.
Una lunga lunga giornata.
Il Celeste Impero ha detto: no. Quindi dovremo ritornare a Nura il 16 agosto.
Oggi puntiamo verso la valla Fergana e il lago Son Kol. Seguiamo l'asfalto per un centinaio di chilometri, poi ci buttiamo su una pista pietrosa che da lì a 60 km ci deposita sulla cima dei 3000 metri di un passo. Le vedute sulle vallate e sulle montagne circostanti sono mozzafiato. Arriviamo in tarda serata, dopo 12 ore di moto, in un minuscolo villaggio, stanchi e affamati. Incontriamo per puro caso un uomo con cappellino e baffi che ci invita a casa sua.
Un ampio cortile fangoso, piove da un paio d'ore, conduce all'abitazione del kirghiso che è fiancheggiata dalla stalla. Un giovane cane nero che gironzola indisturbato ci dà il benvenuto insieme al miagolio di un micino legato al guinzaglio. La casa da fuori ha l'aspetto un po' vetusto, ma dentro è molto accogliente. Superato l'ingresso, dove depositiamo gli stivali infangati, si accede alla zona pranzo divisa in due spazi. Da una parte la sala da pranzo con il tavolo, una stufa in ferro incassata nella parete divide i due atri. Un modo intelligente per riscaldarli entrambi. Il nucleo famigliare è composto da un uomo, il nostro amico, sua figlia e tre bambini. Noi abbiamo un intero locale rettangolare ricoperto di tappeti a nostra disposizione. Alle nove passa il padrone di casa e spegne la luce, è ora di dormire...
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40° 31,517'N 72° 48,033'E
Otto anni fa per un incidente al mezzo che trasportava i bagagli dei motociclisti fummo bloccati alla frontiera kirghiso cinese per tre giorni. Trovammo ospitalità in un villaggio di 500/600 anime a 10 km dal confine con la Cina. Gli abitanti di Nura ci sfamarono, eravamo 20 persone, e ci accolsero a gruppi di 4/5 persone nelle loro piccole case in mattoni. Io, Gianni, Mirco, Nicoletta e Simona ci sistemammo nella casa di una donna con due figli: Nurcia 12 anni femmina e Askar di 8 maschio.
Ieri siamo andati a trovarli con le foto dell'epoca, ma ci aspettava un'amara sorpresa. Nura è stato distrutto da un terremoto. Il vecchio villaggio non esiste più. Ci sono tante case prefabbricate tutte uguali una in fila all'altra con i tetti in lamiera azzurra. La donna che ci ha ospitati ha raggiunto il marito che lavorava per mantenere la famiglia a Osh. Nurcia studia all'università. Askar purtroppo è rimasto sotto le macerie della sua casa.
Lasciamo Sary Tash sotto un cielo livido e freddo, a pochi chilometri ci aspetta un passo di 3500 metri. La strada che 8 anni fa ci aveva messo in difficoltà è tutta asfaltata. Raggiungiamo Osh poco dopo mezzogiorno. Dopo la rinuncia del Pamir, abbiamo quasi una settimana di anticipo sulla tabella di marcia. Abbiamo chiesto ai cinesi di spostarci l'ingresso nella Repubblica Popolare dalla frontiera vicino a Nura ad un'altra dogana più a Nord vicino ai laghi della valle Fergana. Questa operazione ci eviterebbe di ripercorrere la stessa strada due volte facendoci risparmiare 600 km.
L'entrata nel Celeste Impero è prevista per il 17 agosto.
Otto anni fa per un incidente al mezzo che trasportava i bagagli dei motociclisti fummo bloccati alla frontiera kirghiso cinese per tre giorni. Trovammo ospitalità in un villaggio di 500/600 anime a 10 km dal confine con la Cina. Gli abitanti di Nura ci sfamarono, eravamo 20 persone, e ci accolsero a gruppi di 4/5 persone nelle loro piccole case in mattoni. Io, Gianni, Mirco, Nicoletta e Simona ci sistemammo nella casa di una donna con due figli: Nurcia 12 anni femmina e Askar di 8 maschio.
Ieri siamo andati a trovarli con le foto dell'epoca, ma ci aspettava un'amara sorpresa. Nura è stato distrutto da un terremoto. Il vecchio villaggio non esiste più. Ci sono tante case prefabbricate tutte uguali una in fila all'altra con i tetti in lamiera azzurra. La donna che ci ha ospitati ha raggiunto il marito che lavorava per mantenere la famiglia a Osh. Nurcia studia all'università. Askar purtroppo è rimasto sotto le macerie della sua casa.
Lasciamo Sary Tash sotto un cielo livido e freddo, a pochi chilometri ci aspetta un passo di 3500 metri. La strada che 8 anni fa ci aveva messo in difficoltà è tutta asfaltata. Raggiungiamo Osh poco dopo mezzogiorno. Dopo la rinuncia del Pamir, abbiamo quasi una settimana di anticipo sulla tabella di marcia. Abbiamo chiesto ai cinesi di spostarci l'ingresso nella Repubblica Popolare dalla frontiera vicino a Nura ad un'altra dogana più a Nord vicino ai laghi della valle Fergana. Questa operazione ci eviterebbe di ripercorrere la stessa strada due volte facendoci risparmiare 600 km.
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39° 43,800'N 73° 14,667'E
Oggi lasciamo il Tagikistan. La strada sale lentamente di quota attraverso paesaggi straordinari. La vallata è molto ampia, il fiume occupa tutto il fondo valle anche se la portata d'acqua non è importante. Le montagne si rincorrono dolci e verdeggianti. La strada fiancheggiata da filari di pioppi attraversa piccoli villaggi dove la gente, soprattutto bambini, fa a gara per salutarci. In uno degli ultimi villaggi tagiki una scena bellissima ma terribile mi colpisce. Due bambini, uno più grande spinge una sedia a rotelle vetusta e fatta in casa con un bambino più piccolo. Il piccolo, un viso dolce e fragile, mi vede accenna un sorriso, vorrebbe alzare il braccio per salutarmi, ma riesce solo ad alzare la mano. Quando gli passo davanti piega anche la testa in avanti in segno di rispetto.
Questo è l'ultimo saluto del Tagikistan, un paese meraviglioso.
Entriamo in Kirghizistan da un posto di frontiera isolato sui monti a 3000 metri di altitudine in meno di mezz'ora. Per il pranzo, ristoranti aperti non ce ne sono, una signora ci adotta cucinando per noi una zuppa bollente. Arriviamo a Sary Tash e facciamo visita a una famiglia che ci aveva ospitato 8 anni fa. La bambina con le guance paffute e gli occhi stretti come lame che avevo tenuto in braccio una sera intera è felice di ricevere le foto che abbiamo fatto io e Gianni tanto tempo fa.
Si chiama Oundrakhan ed ha 11 anni.
Oggi lasciamo il Tagikistan. La strada sale lentamente di quota attraverso paesaggi straordinari. La vallata è molto ampia, il fiume occupa tutto il fondo valle anche se la portata d'acqua non è importante. Le montagne si rincorrono dolci e verdeggianti. La strada fiancheggiata da filari di pioppi attraversa piccoli villaggi dove la gente, soprattutto bambini, fa a gara per salutarci. In uno degli ultimi villaggi tagiki una scena bellissima ma terribile mi colpisce. Due bambini, uno più grande spinge una sedia a rotelle vetusta e fatta in casa con un bambino più piccolo. Il piccolo, un viso dolce e fragile, mi vede accenna un sorriso, vorrebbe alzare il braccio per salutarmi, ma riesce solo ad alzare la mano. Quando gli passo davanti piega anche la testa in avanti in segno di rispetto.
Questo è l'ultimo saluto del Tagikistan, un paese meraviglioso.
Entriamo in Kirghizistan da un posto di frontiera isolato sui monti a 3000 metri di altitudine in meno di mezz'ora. Per il pranzo, ristoranti aperti non ce ne sono, una signora ci adotta cucinando per noi una zuppa bollente. Arriviamo a Sary Tash e facciamo visita a una famiglia che ci aveva ospitato 8 anni fa. La bambina con le guance paffute e gli occhi stretti come lame che avevo tenuto in braccio una sera intera è felice di ricevere le foto che abbiamo fatto io e Gianni tanto tempo fa.
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39° 01,500'N 70° 22,550'E
Il Pamir non ci vuole. Come due anni fa. Allora rinunciammo perché in Kirghizistan c'era la guerra civile.
Ma cosa succede in Pamir? Il Pamir fa parte della regione autonoma del Gorno Badakhshan, indipendente dal 1992, poverissimo e dopo la fine dell'URSS ha preso un'ulteriore batosta.
Salvato dall'Aga Khan che ha mandato un sacco di soldi negli ultimi 20 anni. Durante la guerra civile tagika, costata 60.000 vite, si era schierato con i ribelli ed ha subito atrocità di ogni genere non ultima una terribile pulizia etnica.
Il problema di oggi qual'è? Che cosa ha di prezioso il Pamir? Ha più di 1000 km di confine in comune con l'Afganistan e l'Afganistan è il primo paese al mondo produttore di oppio.
Pare che il 50% della produzione attraversi questo confine. Chi lo controlla? Talebani, polizia, uomini potenti e chi più ne ha più ne metta. In tutto questo caos c'è chi non si accontenta. Due settimane fa alcuni ribelli hanno ammazzato alcuni militari. Il governo ha chiuso il Pamir. Dopo una settimana c'è stato un trattato di pace. Il Pamir ha riaperto. Tre giorni fa hanno sparato a un militare. Il Pamir ha chiuso.
Noi possiamo solo prendere atto di questa decisione dei militari di chiudere le via di accesso al Pamir. Viaggiamo per passione ed andiamo a caccia di emozioni, ma andarci a tutti i costi vorrebbe dire rischiare la pelle. Il paradosso è che al 99,99 % a noi forestieri nessuno ci torcerebbe un capello. I ribelli sparano solo ai militari, però ribadisco il concetto: perché rischiare la vita?
Per questo motivo il nostro viaggio oggi prende una nuova direzione fuori programma. Kirghizistan stiamo arrivando. A seguire Cina, Pakistan e India...
Inshallah vale a dire se Dio vorrà.
Il Pamir non ci vuole. Come due anni fa. Allora rinunciammo perché in Kirghizistan c'era la guerra civile.
Ma cosa succede in Pamir? Il Pamir fa parte della regione autonoma del Gorno Badakhshan, indipendente dal 1992, poverissimo e dopo la fine dell'URSS ha preso un'ulteriore batosta.
Salvato dall'Aga Khan che ha mandato un sacco di soldi negli ultimi 20 anni. Durante la guerra civile tagika, costata 60.000 vite, si era schierato con i ribelli ed ha subito atrocità di ogni genere non ultima una terribile pulizia etnica.
Il problema di oggi qual'è? Che cosa ha di prezioso il Pamir? Ha più di 1000 km di confine in comune con l'Afganistan e l'Afganistan è il primo paese al mondo produttore di oppio.
Pare che il 50% della produzione attraversi questo confine. Chi lo controlla? Talebani, polizia, uomini potenti e chi più ne ha più ne metta. In tutto questo caos c'è chi non si accontenta. Due settimane fa alcuni ribelli hanno ammazzato alcuni militari. Il governo ha chiuso il Pamir. Dopo una settimana c'è stato un trattato di pace. Il Pamir ha riaperto. Tre giorni fa hanno sparato a un militare. Il Pamir ha chiuso.
Noi possiamo solo prendere atto di questa decisione dei militari di chiudere le via di accesso al Pamir. Viaggiamo per passione ed andiamo a caccia di emozioni, ma andarci a tutti i costi vorrebbe dire rischiare la pelle. Il paradosso è che al 99,99 % a noi forestieri nessuno ci torcerebbe un capello. I ribelli sparano solo ai militari, però ribadisco il concetto: perché rischiare la vita?
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38° 41,833'N 70° 29,167'E
Alle 3 di notte uno strano rumore mi ha svegliato. Era una specie di flap flap flap. Ho acceso la mia torcia, visto che la corrente nel nostro alloggio era stata staccata alle 20. Un pipistrello roteava a folle velocità nei due metri per tre della stanza. La bestiola non riusciva ad uscire dalla minuscola finestra da cui era entrato così ho pensato di farlo uscire dalla porta. Aperta la porta un profumo di uova fritte ha saturato le mie narici. Incuriosito sono sceso a pian terreno e ho trovato la coppia che gestisce il rifugio intenta a cucinarsi il pranzo. Siamo nel Ramadan e gli islamici veri mangiano prima dell'alba. Dalla porta d'ingresso dell'albergo filtrava una luce intensa come fosse giorno. È l'alba? Alle tre di notte? Ho dato un'occhiata. Era la luna. Potevo vedere la valle, le poche case, le stalle. In quel preciso momento iniziava un coro di ragli fragoroso. Prima un asino poi tutti gli altri e a seguire anche i cani segnalavano la mia presenza con i loro latrati.
A parte questa simpatica parentesi ho dormito sodo tutta la notte.
Partiamo con le nostre moto per la Rust Valley. Un posto spettacolare inciso da un fiume limaccioso e da una pista sterrata impegnativa a picco sulle torbide acque.
In 5 ore percorriamo solo 60 km perché è inutile correre in un posto così affascinante. Ci fermiamo per la notte a Tavildara, un paesino su un ansa del fiume circondato da un gigante di roccia.
Alle 3 di notte uno strano rumore mi ha svegliato. Era una specie di flap flap flap. Ho acceso la mia torcia, visto che la corrente nel nostro alloggio era stata staccata alle 20. Un pipistrello roteava a folle velocità nei due metri per tre della stanza. La bestiola non riusciva ad uscire dalla minuscola finestra da cui era entrato così ho pensato di farlo uscire dalla porta. Aperta la porta un profumo di uova fritte ha saturato le mie narici. Incuriosito sono sceso a pian terreno e ho trovato la coppia che gestisce il rifugio intenta a cucinarsi il pranzo. Siamo nel Ramadan e gli islamici veri mangiano prima dell'alba. Dalla porta d'ingresso dell'albergo filtrava una luce intensa come fosse giorno. È l'alba? Alle tre di notte? Ho dato un'occhiata. Era la luna. Potevo vedere la valle, le poche case, le stalle. In quel preciso momento iniziava un coro di ragli fragoroso. Prima un asino poi tutti gli altri e a seguire anche i cani segnalavano la mia presenza con i loro latrati.
A parte questa simpatica parentesi ho dormito sodo tutta la notte.
Partiamo con le nostre moto per la Rust Valley. Un posto spettacolare inciso da un fiume limaccioso e da una pista sterrata impegnativa a picco sulle torbide acque.
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38° 52,917'N 70° 07,300'E
Una mezza giornata storta quella di oggi. Partiamo, anzi no perché la moto di Gianni ha una gomma a terra già in albergo. Lasciamo Duscambe a mezzogiorno per seguire una bella strada asfaltata. Dopo 90 km è la moto di Bibo ad avere la gomma a terra. Ne approfittiamo per mangiare, la locanda serve solo zuppa, riso e pane. Il locale è una conduzione familiare. Il capofamiglia è indaffarato per la produzione di grossi mattoni di fango in giardino. Le due figlie servono ai tavoli, mentre la padrona di casa se ne sta spaparanzata all'ombra. Ripartiamo. Il paesaggio che ci circonda, montagne brulle riarse dal sole, pascoli, mucche e un fiume limaccioso dalle acque color mattone è straordinario. L'asfalto finisce per lasciare il posto ad uno sterrato polveroso. Ad un posto di blocco militare ci confermano che la strada del Pamir è chiusa. Domani vedremo il da farsi. Ripariamo per la notte in un alloggio più che decoroso gestito da un tizio simpatico che non vede l'ora di comunicare con noi. Lui parla tagiko, noi in italiano, ma ci capiamo benissimo.
Una mezza giornata storta quella di oggi. Partiamo, anzi no perché la moto di Gianni ha una gomma a terra già in albergo. Lasciamo Duscambe a mezzogiorno per seguire una bella strada asfaltata. Dopo 90 km è la moto di Bibo ad avere la gomma a terra. Ne approfittiamo per mangiare, la locanda serve solo zuppa, riso e pane. Il locale è una conduzione familiare. Il capofamiglia è indaffarato per la produzione di grossi mattoni di fango in giardino. Le due figlie servono ai tavoli, mentre la padrona di casa se ne sta spaparanzata all'ombra. Ripartiamo. Il paesaggio che ci circonda, montagne brulle riarse dal sole, pascoli, mucche e un fiume limaccioso dalle acque color mattone è straordinario. L'asfalto finisce per lasciare il posto ad uno sterrato polveroso. Ad un posto di blocco militare ci confermano che la strada del Pamir è chiusa. Domani vedremo il da farsi. Ripariamo per la notte in un alloggio più che decoroso gestito da un tizio simpatico che non vede l'ora di comunicare con noi. Lui parla tagiko, noi in italiano, ma ci capiamo benissimo.
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38° 34,350'N 68° 44,733'E
Una lunga strada quella di oggi. Da Samarcanda subito, finora, la Cima Coppi del viaggio con i suoi 1650 metri. Finalmente un po' di curve attraverso una catena di montagne brulle. Seguendo questa direzione potremmo arrivare al confine afgano in un paio d'ore e a Kabul in qualche giorno. Rimane solo un sogno la possibilità di visitare l'Afganistan, penso che in questa vita non mi sarà concesso. Chissà forse nella prossima...
Svoltiamo verso il Tagikistan, ci lasciamo alle spalle le montagne per attraversare una verde pianura coltivata fino al confine.
Il Tagikistan ci accoglie con le sue strade pessime. Antonio rischia di perdere una delle borse laterali per le vibrazioni causate dalle buche. Arriviamo a Dushambe all'imbrunire. In pratica sono 13 che siamo in moto.
Staremo nella capitale tagica 3 giorni. Dopodomani arriva dall'Italia Barbara.
Una lunga strada quella di oggi. Da Samarcanda subito, finora, la Cima Coppi del viaggio con i suoi 1650 metri. Finalmente un po' di curve attraverso una catena di montagne brulle. Seguendo questa direzione potremmo arrivare al confine afgano in un paio d'ore e a Kabul in qualche giorno. Rimane solo un sogno la possibilità di visitare l'Afganistan, penso che in questa vita non mi sarà concesso. Chissà forse nella prossima...
Svoltiamo verso il Tagikistan, ci lasciamo alle spalle le montagne per attraversare una verde pianura coltivata fino al confine.
Il Tagikistan ci accoglie con le sue strade pessime. Antonio rischia di perdere una delle borse laterali per le vibrazioni causate dalle buche. Arriviamo a Dushambe all'imbrunire. In pratica sono 13 che siamo in moto.
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Da Bukhara a Samarcanda c'è una specie di superstrada a due corsie che ci trasporta velocemente a destinazione. La benzina è sempre una rarità in Uzbekistan, riusciamo a fare il pieno solo dopo vari tentativi. Samarcanda è la più frequentata dai turisti. Vengono per il Registan, l'imponente complesso voluto da Tamerlano. Timur, il suo vero nome, viene ricordato soprattutto per le meravigliose opere che ha fatto costruire, secondo me non bisognerebbe dimenticare anche di tutti quelli che ha ammazzato e fatto trucidare. Bizzarra la storia. Domani lasciamo l'Uzbekistan, lasciamo questo popolo mite e gentile che ci ha accompagnato per quasi un'intera settimana per il Tagikistan. Dai roventi deserti, dalle calde città alle alte e gelide vette del Pamir.
Da Bukhara a Samarcanda c'è una specie di superstrada a due corsie che ci trasporta velocemente a destinazione. La benzina è sempre una rarità in Uzbekistan, riusciamo a fare il pieno solo dopo vari tentativi. Samarcanda è la più frequentata dai turisti. Vengono per il Registan, l'imponente complesso voluto da Tamerlano. Timur, il suo vero nome, viene ricordato soprattutto per le meravigliose opere che ha fatto costruire, secondo me non bisognerebbe dimenticare anche di tutti quelli che ha ammazzato e fatto trucidare. Bizzarra la storia. Domani lasciamo l'Uzbekistan, lasciamo questo popolo mite e gentile che ci ha accompagnato per quasi un'intera settimana per il Tagikistan. Dai roventi deserti, dalle calde città alle alte e gelide vette del Pamir.
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39° 46,367'N 64° 25,200'E
Siamo motociclisti perché amiamo viaggiare in moto. La moto per noi non è solo un mezzo di trasporto è una compagna di viaggio. Andare in giro per il mondo in moto è fatica.
9, 7, 9, 13, 11, 8, 7, 10, 13, 8 non sono i numeri del Superenalotto sono le ore che abbiamo passato in sella ogni giorno. Ore comprensive delle brevi soste per mangiare, andare in bagno, bere e fumare una sigaretta, solo che nessuno di noi fuma. Abbiamo la barba lunga, il naso arrostito dal sole e la giacca sbiadita dal tempo. Viaggiamo solo con 4 t-shirts lise perché le laviamo ogni giorno, calzini bucati, slip a brandelli per l'usura del fondo schiena contro la sella.
Viaggiamo senza sponsor perché i media non nutrono interesse nei nostri confronti. Non scriviamo libri in viaggio perché non abbiamo tempo, al massimo prendiamo appunti e i libri li scriviamo a casa perché le emozioni di un viaggio sono così forti che apparterranno per sempre alla nostra memoria.
Noi motociclisti siamo un incrocio tra gli antichi cavalieri e i primi aviatori, quelli che volavano esposti ad ogni sorta di intemperie protetti solo da un giubbotto, un casco in pelle e un paio d'occhiali.
Noi motociclisti abbiamo scelto di accarezzare il pianeta solo con un paio di millimetri delle nostre coperture. Viaggiamo sereni osservando i cambiamenti del mondo e abbiamo ogni giorno una conferma che su questo pianeta i miracoli esistono e che nell'universo niente va sprecato. Noi motociclisti facciamo parte di un grande progetto che ancora non comprendiamo, sopra di noi c'è solo il cielo a volte sereno, oppure grigio e carico di pioggia, ventoso, glaciale o stellato e sopra ogni cosa c'è, per chi ci crede, Dio con la sua lunga barba bianca che tutto osserva e che ci sorride compiaciuto.
Siamo motociclisti perché amiamo viaggiare in moto. La moto per noi non è solo un mezzo di trasporto è una compagna di viaggio. Andare in giro per il mondo in moto è fatica.
9, 7, 9, 13, 11, 8, 7, 10, 13, 8 non sono i numeri del Superenalotto sono le ore che abbiamo passato in sella ogni giorno. Ore comprensive delle brevi soste per mangiare, andare in bagno, bere e fumare una sigaretta, solo che nessuno di noi fuma. Abbiamo la barba lunga, il naso arrostito dal sole e la giacca sbiadita dal tempo. Viaggiamo solo con 4 t-shirts lise perché le laviamo ogni giorno, calzini bucati, slip a brandelli per l'usura del fondo schiena contro la sella.
Viaggiamo senza sponsor perché i media non nutrono interesse nei nostri confronti. Non scriviamo libri in viaggio perché non abbiamo tempo, al massimo prendiamo appunti e i libri li scriviamo a casa perché le emozioni di un viaggio sono così forti che apparterranno per sempre alla nostra memoria.
Noi motociclisti siamo un incrocio tra gli antichi cavalieri e i primi aviatori, quelli che volavano esposti ad ogni sorta di intemperie protetti solo da un giubbotto, un casco in pelle e un paio d'occhiali.
Noi motociclisti abbiamo scelto di accarezzare il pianeta solo con un paio di millimetri delle nostre coperture. Viaggiamo sereni osservando i cambiamenti del mondo e abbiamo ogni giorno una conferma che su questo pianeta i miracoli esistono e che nell'universo niente va sprecato. Noi motociclisti facciamo parte di un grande progetto che ancora non comprendiamo, sopra di noi c'è solo il cielo a volte sereno, oppure grigio e carico di pioggia, ventoso, glaciale o stellato e sopra ogni cosa c'è, per chi ci crede, Dio con la sua lunga barba bianca che tutto osserva e che ci sorride compiaciuto.
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Una volata il trasferimento da Khiva a Bukhara fatta eccezione per un paio d'ore di passione per un'ottantina di chilometri di strada in pessime condizioni, poi qualche breve tratto di sabbia che abbiamo superato senza problemi.
Fa caldo, ma ormai ci siamo assuefatti.
Bukhara è sempre magnifica. Una città normale finché non vedi il profilo della città vecchia con le sue madrasse e i minareti. Ci fermeremo due giorni in un albergo a pochi metri dal minareto Kaloon che domina con la sua mole la città.
Cena a base di carne alla griglia nel ristorante di fianco all'antica cisterna della riserva d'acqua della cittadella con la luna piena che illumina la notte.
Una volata il trasferimento da Khiva a Bukhara fatta eccezione per un paio d'ore di passione per un'ottantina di chilometri di strada in pessime condizioni, poi qualche breve tratto di sabbia che abbiamo superato senza problemi.
Fa caldo, ma ormai ci siamo assuefatti.
Bukhara è sempre magnifica. Una città normale finché non vedi il profilo della città vecchia con le sue madrasse e i minareti. Ci fermeremo due giorni in un albergo a pochi metri dal minareto Kaloon che domina con la sua mole la città.
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41° 22,667'N 60° 21,617'E
Cosa posso scrivere di questa città... Vi racconterò cosa mi è capitato la prima volta che l'ho visitata.
Appena arrivato in moto, stanco morto.
Sera ma non notte, vale a dire quando è buio ma non è ancora tenebra. Nella mia camera d'albergo. La finestra aperta. Una musica lontana. Una strana musica. Incuriosito esco e m'infilo tra i dedali della città vecchia. In pratica ho girato in mezz'ora tutta la cittadella. Khiva non è grande. Le poche persone incontrate sembravano neri fantasmi, ombre nell'oscurità. Non ho trovato da dove provenisse la musica, anche se la musica era reale. Ho pensato che questa città mi avesse attirato dentro di sé con l'escamotage della musica.
Da quella notte per me questa città è magica.
Cosa posso scrivere di questa città... Vi racconterò cosa mi è capitato la prima volta che l'ho visitata.
Appena arrivato in moto, stanco morto.
Sera ma non notte, vale a dire quando è buio ma non è ancora tenebra. Nella mia camera d'albergo. La finestra aperta. Una musica lontana. Una strana musica. Incuriosito esco e m'infilo tra i dedali della città vecchia. In pratica ho girato in mezz'ora tutta la cittadella. Khiva non è grande. Le poche persone incontrate sembravano neri fantasmi, ombre nell'oscurità. Non ho trovato da dove provenisse la musica, anche se la musica era reale. Ho pensato che questa città mi avesse attirato dentro di sé con l'escamotage della musica.
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41° 22,850'N 60° 21,833'E
Dopo un lungo rettilineo d'asfalto finalmente usciamo dal deserto. Superiamo Nukus e raggiungiamo la splendida Khiva dove ci concederemo una sosta di due giorni per rilassarci un po' e fare manutenzione alla motocicletta.
Dopo un lungo rettilineo d'asfalto finalmente usciamo dal deserto. Superiamo Nukus e raggiungiamo la splendida Khiva dove ci concederemo una sosta di due giorni per rilassarci un po' e fare manutenzione alla motocicletta.
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44° 46,950'N 56° 12,717'E
Una strada magnifica ci accompagna per cinque ore da Atyrau a Beyneu tra le torride steppe kazake. Superata Beyneu inizia lo sterrato. La pista è facile, ma di tanto in tanto presenta qualche insidia sabbiosa. Ne facciamo tutti le spese con qualche scivolata a terra. Niente di grave per nessuno, in pratica abbiamo solo appoggiato le moto a terra da fermi. La frontiera, a parte una fila di camion interminabile è meglio di quanto pensassimo. Gli uzbeki sono molto gentili e ci fanno passare avanti. Dopo la frontiera non c'è più niente per 300 km, solo il deserto, quindi visto che è tardi decidiamo di fermarci nell'unico posto disponibile. È una specie di locanda gestita da una giovane donna. La cena, due uova fritte è ottima e la camera è un locale con solo qualche tappeto sul pavimento. Il tramonto arriva in fretta. Il cielo si tinge di rossi e di viola, poi scende la notte illuminata solo dalla luna e dalle stelle.
Una strada magnifica ci accompagna per cinque ore da Atyrau a Beyneu tra le torride steppe kazake. Superata Beyneu inizia lo sterrato. La pista è facile, ma di tanto in tanto presenta qualche insidia sabbiosa. Ne facciamo tutti le spese con qualche scivolata a terra. Niente di grave per nessuno, in pratica abbiamo solo appoggiato le moto a terra da fermi. La frontiera, a parte una fila di camion interminabile è meglio di quanto pensassimo. Gli uzbeki sono molto gentili e ci fanno passare avanti. Dopo la frontiera non c'è più niente per 300 km, solo il deserto, quindi visto che è tardi decidiamo di fermarci nell'unico posto disponibile. È una specie di locanda gestita da una giovane donna. La cena, due uova fritte è ottima e la camera è un locale con solo qualche tappeto sul pavimento. Il tramonto arriva in fretta. Il cielo si tinge di rossi e di viola, poi scende la notte illuminata solo dalla luna e dalle stelle.
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47° 05,933'N 51° 55,233'E
Attraversare il ponte di barche sghimbescio, la porta per l'Asia, è sempre terribilmente emozionante. Oltretutto davanti a me c'era un camion che faceva ondeggiare di brutto le vecchie lamiere del ponte.
I Kazaki sono sempre spiritosi e simpatici, non vedono l'ora di toccare tutto quello che c'è sulla moto. Sono fatti così. Anche lungo la strada polverosa e piena di gobbe c'è chi si sbraccia per salutare o immortalare foto.
Hanno la moto nel sangue. Siamo i benvenuti. Ci sono anche molti animali al pascolo, cavalli, mucche e cammelli veri vale a dire quelli con due gobbe. Le case sono di vario genere. Ci sono quelle nuove con i tetti in lamiera colorata con tinte blu, rosse, marrone, verde e vetuste catapecchie grigie. Stalle, fienili, macchine agricole del secolo scorso e numerosi rottami abbandonati. Tutto è avvolto in un gran polverone. Il cielo, grazie a qualche sporadica nuvola, alterna brevi zone d'ombra al sole cocente. Arriviamo ad Atyrau alle quattro del pomeriggio, anzi alle cinque visto che abbiamo perso un'altra ora di fuso orario.
Attraversare il ponte di barche sghimbescio, la porta per l'Asia, è sempre terribilmente emozionante. Oltretutto davanti a me c'era un camion che faceva ondeggiare di brutto le vecchie lamiere del ponte.
I Kazaki sono sempre spiritosi e simpatici, non vedono l'ora di toccare tutto quello che c'è sulla moto. Sono fatti così. Anche lungo la strada polverosa e piena di gobbe c'è chi si sbraccia per salutare o immortalare foto.
Hanno la moto nel sangue. Siamo i benvenuti. Ci sono anche molti animali al pascolo, cavalli, mucche e cammelli veri vale a dire quelli con due gobbe. Le case sono di vario genere. Ci sono quelle nuove con i tetti in lamiera colorata con tinte blu, rosse, marrone, verde e vetuste catapecchie grigie. Stalle, fienili, macchine agricole del secolo scorso e numerosi rottami abbandonati. Tutto è avvolto in un gran polverone. Il cielo, grazie a qualche sporadica nuvola, alterna brevi zone d'ombra al sole cocente. Arriviamo ad Atyrau alle quattro del pomeriggio, anzi alle cinque visto che abbiamo perso un'altra ora di fuso orario.
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46° 21,417'N 48° 02,933'E
La Calmucchia è un enclave tibetana in Russia. La strada che ci porta ad Elista, la capitale attraversa campagne sconfinate. Mi chiedo quando tempo occorra per arare un campo grande come il mio paese e di campi ce ne sono a perdita d'occhio. Ad Elista assaggiamo i ravioloni tibetani ripieni di carne e aglio poi ripratiamo per Astrakhan. La strada è un lungo rettilineo di 300 chilometri che attraversa la famigerata steppa russa. È una zona sotto il livello del mare e fa molto caldo. Di tanto in tanto minuscoli laghi punteggiano le pianure infuocate abitate solo da mandrie di cavalli e mucche. Arriviamo ad Astrakhan nel tardo pomeriggio. La cena, in un ristorante lungo il Volga, a base di carne alla griglia è ottima. Domani lasceremo il vecchio continente per l'Asia.
La Calmucchia è un enclave tibetana in Russia. La strada che ci porta ad Elista, la capitale attraversa campagne sconfinate. Mi chiedo quando tempo occorra per arare un campo grande come il mio paese e di campi ce ne sono a perdita d'occhio. Ad Elista assaggiamo i ravioloni tibetani ripieni di carne e aglio poi ripratiamo per Astrakhan. La strada è un lungo rettilineo di 300 chilometri che attraversa la famigerata steppa russa. È una zona sotto il livello del mare e fa molto caldo. Di tanto in tanto minuscoli laghi punteggiano le pianure infuocate abitate solo da mandrie di cavalli e mucche. Arriviamo ad Astrakhan nel tardo pomeriggio. La cena, in un ristorante lungo il Volga, a base di carne alla griglia è ottima. Domani lasceremo il vecchio continente per l'Asia.
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26/07/2012 17.51
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Da Antracity alla frontiera ci sono solo 50 chilometri. L'immagine dei militari di confine è impeccabile. Seri, puliti e onesti. Stiamo entrando nel più grande paese del mondo. Chi ha descritto i russi come gente musona e triste o non c'è mai stato oppure non racconta la verità. Lungo la strada, forse grazie alle moto, la gente incuriosita chiede da dove arriviamo e dove stiamo andando. L'India sembra essere su un'altra galassia tanto è lontana. Un simpatico camionista vuole anche immortalarci con la sua macchina fotografica. Mangiare on the road invece è più complicato se non conosci il russo. Molto utile il Cibolario dell'amico Dino Mazzini che riporta la foto del cibo e la traduzione in otto lingue diverse.
Seguiamo il fiume Don fino a Volgodonsk che diventa il nostro rifugio per la notte. Non siamo lontani dalla vecchia Stalingrado teatro di feroci battaglie durante la II guerra mondiale.
Da Antracity alla frontiera ci sono solo 50 chilometri. L'immagine dei militari di confine è impeccabile. Seri, puliti e onesti. Stiamo entrando nel più grande paese del mondo. Chi ha descritto i russi come gente musona e triste o non c'è mai stato oppure non racconta la verità. Lungo la strada, forse grazie alle moto, la gente incuriosita chiede da dove arriviamo e dove stiamo andando. L'India sembra essere su un'altra galassia tanto è lontana. Un simpatico camionista vuole anche immortalarci con la sua macchina fotografica. Mangiare on the road invece è più complicato se non conosci il russo. Molto utile il Cibolario dell'amico Dino Mazzini che riporta la foto del cibo e la traduzione in otto lingue diverse.
Seguiamo il fiume Don fino a Volgodonsk che diventa il nostro rifugio per la notte. Non siamo lontani dalla vecchia Stalingrado teatro di feroci battaglie durante la II guerra mondiale.
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25/07/2012 21.32
48° 06,883'N 39° 05,400'E
Nella tappa di oggi puntiamo decisamente verso la Russia. Per la prima volta da quando siamo in Ucraina attraversiamo una grossa città ed ammiriamo i famosi palazzoni alveare del vecchio regime sovietico.
La campagna dopo le sinuose colline dei giorni scorsi spiana in campi coltivati di granturco e sorgo.
Raggiungiamo Antracity una città mineraria dove passare la notte.
Nella tappa di oggi puntiamo decisamente verso la Russia. Per la prima volta da quando siamo in Ucraina attraversiamo una grossa città ed ammiriamo i famosi palazzoni alveare del vecchio regime sovietico.
La campagna dopo le sinuose colline dei giorni scorsi spiana in campi coltivati di granturco e sorgo.
Raggiungiamo Antracity una città mineraria dove passare la notte.
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48° 30,083'N 32° 15,450'E
Giornata intensa. 13 ore di moto volate lungo le strade secondarie ucraine. Le vie periferiche mi piacciono perché sono poco battute e più vere. Attraversano stazioni, piazze e centri storici. Lambiscono anche, in aperta campagna, le case dei contadini, le stalle e gli animali al pascolo. Alcune presentano buche enormi altre pavé molto vissuti. Impegnative, ma estremamente interessanti.
Ne usciamo dopo tre ore per seguire una strada più larga e levigata. Attraversiamo immensi campi di girasole. Le ultime ore prima del tramonto sono le più belle. La moto sembra volare tanto avanza senza fatica. Arriviamo a Kirovohrad, una bella cittadina, giusto all'ora di cena.
Giornata intensa. 13 ore di moto volate lungo le strade secondarie ucraine. Le vie periferiche mi piacciono perché sono poco battute e più vere. Attraversano stazioni, piazze e centri storici. Lambiscono anche, in aperta campagna, le case dei contadini, le stalle e gli animali al pascolo. Alcune presentano buche enormi altre pavé molto vissuti. Impegnative, ma estremamente interessanti.
Ne usciamo dopo tre ore per seguire una strada più larga e levigata. Attraversiamo immensi campi di girasole. Le ultime ore prima del tramonto sono le più belle. La moto sembra volare tanto avanza senza fatica. Arriviamo a Kirovohrad, una bella cittadina, giusto all'ora di cena.
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Lasciamo Budapest, l'Ungheria e le cicogne in fretta grazie ad una perfetta e levigata autostrada. Entriamo in Ucraina da una dogana fuori mano e deserta. Le milizie di confine sono estremamente gentili e l'ultimo controllo del passaporto viene effettuato da una giovane modella in tuta mimetica.
Ucraina spettacolare e verde con saliscendi degni di essere percorsi in moto. La giornata termina in un motel fuori mano e la cena è consumata in una locanda gestita da una simpatica donna che per prendere le ordinazioni telefona a un'amica che parla italiano. Ucraini sempre fantastici!
Lasciamo Budapest, l'Ungheria e le cicogne in fretta grazie ad una perfetta e levigata autostrada. Entriamo in Ucraina da una dogana fuori mano e deserta. Le milizie di confine sono estremamente gentili e l'ultimo controllo del passaporto viene effettuato da una giovane modella in tuta mimetica.
Ucraina spettacolare e verde con saliscendi degni di essere percorsi in moto. La giornata termina in un motel fuori mano e la cena è consumata in una locanda gestita da una simpatica donna che per prendere le ordinazioni telefona a un'amica che parla italiano. Ucraini sempre fantastici!
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Se non mangiate le salsicce vi buchiamo le gomme e stamattina niente pioggia aveva detto il boss dell'albergo. Nessuna delle due cose era vera. La pioggia, anche se lieve ci ha accompagnato per un'ora, poi cielo coperto, ma asfalto asciutto. Una sosta per il pranzo al lago Balaton, poi dritti fino a Budapest. Tutta autostrada. New Delhi lontanissima, ma nessuno ha fretta di arrivarci. Viaggiare non è arrivare. Viaggiare è gustare chilometro dopo chilometro tutto quello che incontreremo. Stiamo viaggiando per passione, per provare emozioni e per vedere posti mai visti prima.
Raggiungiamo la capitale magiara alle quattro del pomeriggio. Stasera gulasch e patate.
Se non mangiate le salsicce vi buchiamo le gomme e stamattina niente pioggia aveva detto il boss dell'albergo. Nessuna delle due cose era vera. La pioggia, anche se lieve ci ha accompagnato per un'ora, poi cielo coperto, ma asfalto asciutto. Una sosta per il pranzo al lago Balaton, poi dritti fino a Budapest. Tutta autostrada. New Delhi lontanissima, ma nessuno ha fretta di arrivarci. Viaggiare non è arrivare. Viaggiare è gustare chilometro dopo chilometro tutto quello che incontreremo. Stiamo viaggiando per passione, per provare emozioni e per vedere posti mai visti prima.
Raggiungiamo la capitale magiara alle quattro del pomeriggio. Stasera gulasch e patate.
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"Se non mangiate le salsicce vi buchiamo le gomme" e "stamattina niente pioggia" aveva detto il boss dell'albergo. Nessuna delle due cose era vera. La pioggia, anche se lieve ci ha accompagnato per un'ora, poi cielo coperto, ma asfalto asciutto. Una sosta per il pranzo al lago Balaton, poi dritti fino a Budapest. Tutta autostrada. New Delhi lontanissima, ma nessuno ha fretta di arrivarci. Viaggiare non è arrivare. Viaggiare è gustare chilometro dopo chilometro tutto quello che incontreremo. Stiamo viaggiando per passione, per provare emozioni e per vedere posti mai visti prima.
Raggiungiamo la capitale magiara alle quattro del pomeriggio. Stasera gulasch e patate.
"Se non mangiate le salsicce vi buchiamo le gomme" e "stamattina niente pioggia" aveva detto il boss dell'albergo. Nessuna delle due cose era vera. La pioggia, anche se lieve ci ha accompagnato per un'ora, poi cielo coperto, ma asfalto asciutto. Una sosta per il pranzo al lago Balaton, poi dritti fino a Budapest. Tutta autostrada. New Delhi lontanissima, ma nessuno ha fretta di arrivarci. Viaggiare non è arrivare. Viaggiare è gustare chilometro dopo chilometro tutto quello che incontreremo. Stiamo viaggiando per passione, per provare emozioni e per vedere posti mai visti prima.
Raggiungiamo la capitale magiara alle quattro del pomeriggio. Stasera gulasch e patate.
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I quattro cavalieri dell'apocalisse in sella ai loro destrieri si raggruppano a Rovato. Antonio che è partito da Bergamo ha una gomma a terra. Bucare dopo 30 km è di buon auspicio. Sostituita la camera d'aria ripartiamo e raggiungiamo la Slovenia che ci accoglie con la pioggia e il freddo. Partenza bagnata partenza fortunata.
Pernotto vicino a Maribor in un posto incontaminato.
Stasera tutti alla sagra del krapfen i famosi bomboloni fritti ripieni di crema.
I quattro cavalieri dell'apocalisse in sella ai loro destrieri si raggruppano a Rovato. Antonio che è partito da Bergamo ha una gomma a terra. Bucare dopo 30 km è di buon auspicio. Sostituita la camera d'aria ripartiamo e raggiungiamo la Slovenia che ci accoglie con la pioggia e il freddo. Partenza bagnata partenza fortunata.
Pernotto vicino a Maribor in un posto incontaminato.
Stasera tutti alla sagra del krapfen i famosi bomboloni fritti ripieni di crema.
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Partenza prevista per il 21 luglio.
La mia "Vecchia" Africa Twin del 1993 è pronta.
Partenza prevista per il 21 luglio.
La mia "Vecchia" Africa Twin del 1993 è pronta.
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